Santorale

Il santorale pisano

L’Associazione degli Amici di Pisa ha scelto d’inserire nel proprio sito le notizie su santi, beati e venerabili nati o vissuti o venerati nella diocesi di Pisa, offrendo così un altro rilevante tassello per la conoscenza della storia della città e del territorio. Alcuni di questi personaggi sono molto noti (un nome per tutti, san Ranieri), altri sono quasi sconosciuti e in diversi casi ci troviamo di fronte a scarse informazioni offerte dalle fonti storiche, senza contare tradizioni prive di fondamento come l’attribuzione dei santi Guido e Valfredo alla casata dei conti Della Gherardesca. Sono stati presi in considerazione non solo i pisani ma anche santi cui nel corso dei secoli è stato tributato un culto importante, come il papa Sisto II, i santi Rossore, Efisio e Potito, provenienti dalla Sardegna, oppure vissuti a Pisa dove hanno svolto un ruolo di primo piano, come l’abate Bono nei primi decenni dell’XI secolo o il beato Giuseppe Toniolo in epoca molto vicina a noi.

Sono state così selezionate trentotto figure (di cui nove donne), che rappresentano vari e diversi modelli di santità dal Medioevo ai giorni nostri, dai martiri dei primi secoli – pur in presenza di passioni leggendarie (Torpè, Rossore, Efisio e Potito) –, a uno dei primi santi laici europei (Ranieri) a una donna come Bona, anch’essa laica e dedita ai pellegrinaggi, da alti dignitari della Chiesa (gli arcivescovi Baldovino e Ugo da Pisa, il papa Eugenio III) ad abati (Bono, Valfredo) al buon numero di frati francescani (ricordiamo fra tutti Alberto e Agnello discepoli di san Francesco) e domenicani (un nome per tutti, Giordano da Rivalto), e di monache (citiamo l’importante figura di Chiara Gambacorta, ma anche Ubaldesca e Gherardesca). Per l’epoca contemporanea un ruolo di rilievo è stato svolto da Ludovico Coccapani, apostolo della carità, e da Giuseppe Toniolo, che introduce l’immagine di sposo e padre di famiglia, apprezzato professore universitario, dirigente e fondatore di opere sociali, uno dei maggiori ideologi della politica dei cattolici italiani e degli artefici del loro inserimento nella vita pubblica.

Il santorale pisano appare dunque ricco e variato, con figure che hanno dato vita nel corso dei secoli ad attività di grande rilevanza, dalla fondazione o riforma di enti religiosi (Bono, Valfredo, Ugo da Pisa, Pietro e Chiara Gambacorta) all’esercizio della carità (Domenico Vernagalli, Ludovico Coccapani), dalla predicazione (Giordano da Rivalto) allo studio (Bartolomeo da Rinonichi, Ranieri da Rivalto, Giuseppe Toniolo), e che quindi rappresentano uno specchio sia delle diverse forme di religiosità sviluppatesi nel corso del tempo sia delle varie categorie sociali della città, che in un certo senso vi trovano una loro legittimazione.

Per tutti questi personaggi è stata compiuta un’attenta indagine sulle fonti storiche e sulla letteratura che li riguarda, presentando le notizie sulla vita e sul culto ad essi tributato e fornendo una bibliografia sintetica ma aggiornata.

Maria Luisa Ceccarelli Lemut




SANTI EFISIO E POTITO

Pisa, Campo Santo, Spinello Aretino, Martirio dei santi Efisio e Potito, incisione di Carlo Lasinio

Nel corso del Medioevo a Pisa ha assunto rilievo il culto, proveniente dalla Sardegna, dei santi Efisio e Potito.

Nell’isola il culto di Efisio è documentato dall’ultimo ventennio dell’XI secolo, ma l’antroponimo di origine orientale depone a favore di una fase di culto anteriore. La Passio pone il locus depositionis del santo presso Nora e presenta labili elementi topografici che sembrano riferibili ad un martire storico, vissuto in età dioclezianea a Nora, nel cui suburbium si troverebbe il martyrium. Il più antico testimone della Passio, che deriva dalla seconda leggenda di san Procopio e non è stato finora oggetto di studio sistematico o di edizione critica, risale al XII secolo, ma contiene elementi che potrebbero farlo rimontare al secondo quarto del X secolo. Secondo questo racconto Efisio sarebbe nato ad Aelia Capitolina (Gerusalemme) da madre pagana e padre cristiano. A Diocleziano, che aveva scatenato la persecuzione contro i cristiani, si presentò ad Antiochia la madre di Efisio, illustre matrona, per raccomandare il figlio all’imperatore. Costui accolse benignamente il giovane e gli concesse il comando di buona parte del suo esercito per perseguitare i cristiani. Efisio si sarebbe così recato in Italia dove, convertito da un’apparizione dello stesso Gesù, sarebbe stato battezzato a Gaeta. Trasferitosi in Sardegna colle sue truppe, combatté i barbari pagani e, manifestata a Carales l’adesione al Cristianesimo, fu torturato prima dal praeses Iulicus poi dal successore Flaviano e infine decapitato a Nora.

Ad Efisio è stato associato Potito, martirizzato invece a Sardica nella Dacia inferiore, presentato dalla Passio (risalente nelle recensioni più antiche al IX secolo) come un fanciullo tredicenne, decapitato al tempo dell’imperatore Antonino, intorno al 160, trasformato poi nell’Apulia in santo militare bizantino. Un martire orientale dunque, il cui culto, attestato a Napoli nel IX secolo, ha raggiunto la Sardegna, ove si è sviluppata la tradizione della sepoltura presso quella di Efisio.

Secondo Raffaello Roncioni le reliquie dei due santi sarebbero giunte a Pisa nel 1088, ossia l’erudito pisano all’inizio del Seicento le collegava con le prime attestazioni documentarie note relative a rapporti tra Pisa e la Sardegna, ma forse egli non si allontanava molto dal vero.

Culto:

Il culto dei due martiri era presente nella cattedrale pisana già dal XII secolo: il calendario liturgico della fine di quel secolo riportava al 6 giugno la consacrazione dell’altare loro dedicato nel transetto destro, mentre la traslazione delle reliquie da Cagliari sarebbe avvenuta il 20 agosto (trasferimento di cui non si ha notizia da alcun martirologio), ma veniva celebrata il 13 novembre. Il transetto destro venne comunemente definito dei Santi Efisio e Potito e le loro statue ornano ancora le nicchie ai lati dell’altare: a sinistra sant’ Efisio, di Giovanni Battista Lorenzi, del 1592, a destra san Potito, opera di Paolo Borghesi Guidotti da Lucca, terminata nel 1616. Invece, sull’altare riposa il corpo di san Ranieri, ivi posto nel 1688, dopo la sua proclamazione a patrono della città, ed a lui ora è dedicato il transetto.

Ai due santi fu intitolata la cappella che l’arcivescovo aveva all’interno del proprio palazzo, attestata fin dall’inizio del XIII secolo, e si è conservato lo schema di un sermone pronunciato dall’arcivescovo Federico Visconti nella festa dei due martiri, il 13 novembre di un anno compreso tra il 1253 e il 1256. Negli statuti del 1302 la festività compare tra quelle che la città celebrava in modo particolare. Attualmente a Efisio e Potito è dedicata la cappella grande del Palazzo Arcivescovile, fatta costruire intorno al 1711 dall’arcivescovo Francesco Frosini (1702-1733) e affrescata dal 1739 al 1744 dai fratelli Melani, ai quali si deve anche la raffigurazione, sopra l’altare, del martirio dei due santi.

Efisio e Potito furono infine i protagonisti di un ciclo pittorico composto da sei riquadri, dipinti nel corridoio meridionale del Camposanto di Pisa da Spinello Aretino tra il 1390 e il 1392, che rappresenta anche la prima raffigurazione pittorica della loro leggenda. Gli affreschi avevano già subito menomazioni prima che l’incendio provocato dal cannoneggiamento del 27 luglio 1944 li danneggiasse gravemente. L’Archivio fotografico dell’Opera della Primaziale Pisana conserva le immagini riprese prima della II guerra mondiale, mentre le incisioni di Carlo Lasinio, conservatore del monumento, risalenti agli anni 1806-1812, offrono una visione del ciclo.

Bibliografia:

P.G. Spanu, Martyria Sardiniae. I santuari dei martiri sardi, Oristano 2000, pp. 61-73, 76-77, che ripropone due versioni della Passio di Efisio alle pp. 163-173; P. Burchi, Efisio, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Città del Vaticano 1964, coll. 939-940; U. Del Re, Potito, santo, martire, in Bibliotheca Sanctorum, X, Città del Vaticano 1968, coll. 1072-1074; M.L. Ceccarelli Lemut, Santi nel Mediterraneo dalla Sardegna a Pisa, in «Bollettino Storico Pisano», LXXIV (2005), pp. 201-208.




VENERABILE LUDOVICO COCCAPANI

Discendente di un’agiata famiglia borghese di ceramisti originaria di Sassuolo e stabilitasi in Toscana alla fine del Seicento, nacque a Calcinaia il 23 giugno 1849, sesto dei sette figli del maestro ceramista Sigismondo e di Fortunata Guelfi. Perduti molto presto i genitori e tre suoi fratelli, crebbe insieme con due sorelle e il fratello maggiore don Lionello, canonico della cattedrale pisana e docente in Seminario. Diplomatosi a Pisa, dopo un breve periodo d’insegnamento nelle scuole elementari, decise di dedicarsi all’assistenza dei poveri e dei bisognosi. Entrato a far par parte del Terz’Ordine Francescano e della Società di San Vincenzo de’ Paoli, ispirò tutta la sua attività alla spiritualità di san Francesco, riconoscendo nella devozione all’Eucaristia e nell’amore alla Vergine i tratti distintivi del suo essere cristiano. Per questo volle unire all’aiuto materiale, che offriva sempre con rispetto e delicatezza, anche il conforto di una parola di fede e di speranza, perché chi aveva sperimentato le miserie della vita potesse ritrovare la luce della Misericordia Divina. Si dedicò all’istruzione religiosa dei fanciulli settimanalmente nella chiesa di Sant’Andrea Forisportam e operò all’interno delle carceri, portando la parola della speranza cristiana tra i condannati. Fu uno dei primi presidenti della Conferenza pisana della società di San Vincenzo nel 1914, rimanendone a capo fino alla morte, avvenuta nella casa natale di Calcinaia la sera del 14 novembre 1931.

Colpito da una polmonite, pochi giorni prima di spirare disse a coloro che aveva vicino: “Quando il Signore verrà a chiamarmi per rendergli conto del mio servizio operato, voglio essere sepolto qui a Calcinaia nel campo comune, in mezzo ai miei poveri con i quali ho trascorso tutta la mia vita”.

Così avvenne ma nel 2015 le sue spoglie sono state traslate in una nuova tomba nella pieve di Calcinaia.

In questa località è a lui intitolata una scuola materna privata nell’abitazione di famiglia, per sua iniziativa donata all’Opera Cardinale Maffi nel 1925. A Pisa la sua memoria è degnamente onorata con l’intitolazione a lui della mensa dei poveri presso la parrocchia di San Francesco.

Culto:

I Pisani videro subito in lui l’incarnazione amorevole degli ideali evangelici. La causa di beatificazione, iniziata a livello diocesano nel 1949 e conclusasi nel 1998, ha portato alla dichiarazione di venerabile da parte del papa Francesco il 7 novembre 2018.

Bibliografia:

  1. Felici, Un cavaliere di Dio e dei poveri. Ludovico Coccapani, Pisa, Nistri e Lischi, 1935.



BEATO GIUSEPPE TONIOLO

Sposo e padre di famiglia, apprezzato professore universitario, dirigente e fondatore di opere sociali, fu uno dei maggiori ideologi della politica dei cattolici italiani e degli artefici del loro inserimento nella vita pubblica.

Nacque a Treviso il 7 marzo 1845 da Antonio, ingegnere idraulico, e da Isabella Alessandri, veneziana di origini armene: dalla madre apprese un’intensa dedizione alle pratiche religiose, dal  padre sentimenti patriottici ed entusiasmi neoguelfi, che trovarono riscontro nel programma educativo del collegio di Santa Caterina a Venezia, dove tra il 1854 e il 1863 Giuseppe frequentò il ginnasio e il liceo e si accostò al tomismo e all’apologetica. Immatricolatosi nel 1863 nella Facoltà politico-legale dell’Università di Padova, si laureò in Legge il 27 giugno 1867.

La sua formazione fu caratterizzata dall’interesse per le connessioni tra economia e morale, per la storicizzazione dell’analisi economica e per l’accostamento pluridisciplinare alle tematiche sociali, impostazioni metodologiche che lo orientarono verso la ‘scuola storica dell’economia’.

Intrapresa la carriera universitaria, il 28 dicembre 1868 venne nominato assistente alla cattedra giuridico-politica dell’Ateneo patavino, il 30 agosto 1873 ottenne l’abilitazione alla libera docenza in Economia politica, il successivo 5 dicembre nella ‘prelezione’ al suo primo corso accademico (Dell’elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche) fissò le coordinate del proprio pensiero, ispirate alla tradizione cattolico-liberale italiana di Antonio Rosmini e di Vincenzo Gioberti e fondate sulla critica delle teorie classiche di Adam Smith, di David Ricardo e del liberoscambismo di scuola manchesteriana. Nella sua prospettiva, le ragioni di utilità individuale, che motivano l’homo æconomicus, vanno ricondotte alle componenti antropologiche, religiose ed etiche che rendono l’uomo, nella sua libertà e operosità, soggetto morale e causa efficiente delle leggi economiche e delle relazioni sociali.

Il 20 marzo 1878 ottenne per concorso la cattedra di Economia politica all’Università di Modena. L’anno successivo fu chiamato a Pisa, ove avrebbe insegnato fino al 1917 (dal 1882 come professore ordinario), dando prova di grande sensibilità educativa e di rispettosa compensazione tra le responsabilità di docente in un’università statale e una sempre più appassionata militanza ecclesiale e sociale nelle fila del cattolicesimo.

Il 4 settembre 1878 a Pieve di Soligo sposò Maria Schiratti, da cui ebbe sette figli, tre dei quali morirono in tenera età. Il legame confidente con Maria e la profonda spiritualità vissuta in famiglia furono parte della solida esperienza di fede e di vita che gli sarebbe stata riconosciuta con la beatificazione.

La sua apologetica, d’impianto neoscolastico, segnata da teocentrismo e guelfismo, lo portò ad attribuire al pontefice il ruolo di supremo organismo etico-giuridico nazionale e ne motivò l’impegno pedagogico per un più incisivo attivismo dei laici. Il suo riformismo sociale era coerente con il magistero sociale della Rerum Novarum – «verosimile» la consulenza di Toniolo nella predisposizione dell’enciclica – e con la prospettiva del papa Leone XIII della «conquista cristiana» della società moderna come unico rimedio al dramma della questione sociale. Le sue riflessioni chiamarono i cattolici al confronto con i problemi insiti nella modernità e con le sfide dell’uomo contemporaneo, questioni emergenti e irrisolte per l’intera società italiana.

L’analisi della complessa articolazione della società medievale, di cui colse tensioni e incoerenze, lo portò a identificare nelle manifestazioni della libertà personale e nel ruolo degli organismi intermedi la possibile armonizzazione tra i principi di autorità e di solidarietà a vantaggio dei ceti inferiori, entro un ordine garantito da una limitata presenza dello Stato. Sotto la superficie della storia politico-sociale, colse nella loro concretezza l’affiorare degli orientamenti culturali, l’agitarsi delle forze sociali, il configurarsi di molteplici gradi di civiltà, elementi propri della «storia totale», offrendo un decisivo contributo al progresso culturale del cattolicesimo italiano.

Solo i valori del cristianesimo potevano consentire di edificare «uomini nuovi» e di dare un volto umano al capitalismo, di restituire centralità al lavoro, di aprire la strada alle molteplici manifestazioni della partecipazione nei rapporti tra lavoro e capitale e di identificare il ruolo ‘suppletorio’ dello Stato a vantaggio delle comunità.

Impegnato in prima persona per sostenere la crescita culturale del laicato cattolico, rimosse, con il sostegno di Leone XIII, le resistenze degli intransigenti: nel 1889 promosse l’Unione cattolica per gli studi sociali, quattro anni più tardi fondò, con Salvatore Talamo, la Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie, destinata a conseguire prestigio scientifico anche Oltralpe; nel gennaio del 1894 firmò, con altri, il Programma dei cattolici di fronte al socialismo, noto come Programma di Milano.

L’obiettivo di fondo, in sintonia con gli orientamenti dei cattolici europei, era la restaurazione di un ordine sociale, intrinsecamente etico, costruito dal basso da persone rispettose di norme morali di condotta. Così orientata, secondo Toniolo, la propensione solidale delle singole persone – aggregate in corpi intermedi autonomi e con l’apporto delle istituzioni pubbliche locali – consentiva di perseguire efficacemente la giustizia sociale e di proporsi come alternativa al socialismo, al liberalismo e ai ritorni del paganesimo. Un assetto democratico, ispirato da valori cristiani e fondato sulla libertà personale, costituiva l’espressione compiuta di una società aperta, interclassista e dinamica, in equilibrio tra diritti e doveri individuali e tra giustizia commutativa e giustizia distributiva; una società dotata di ordinamenti civili e politici garanti della piena libertà e del progresso per tutti i ceti.

All’inizio del Novecento, di fronte della crescente radicalizzazione delle posizioni di Murri e all’irrigidimento della Santa Sede, Toniolo, sempre fedele al pontefice, si raccolse in un sofferto silenzio, intensificando l’impegno nella ricerca scientifica e a sostegno di due peculiari forme di azione sociale. La prima, la cooperazione, rappresentava una tipologia di impresa privata di piccole dimensioni produttive, fusione di capitale e lavoro, in grado di contribuire alla tenuta dei tessuti sociali e produttivi territoriali, attitudine peculiare delle cooperative di credito per il contrasto all’usura e alla speculazione finanziaria, a vantaggio delle piccole imprese manifatturiere e rurali. La seconda riguardava le unioni operaie, la cui natura e i cui fini vennero riletti da Toniolo in chiave solidaristica e partecipativa.

Nel 1899 Toniolo, con la costituzione della Società cattolica italiana per gli studi scientifici, ispirata al principio neotomistico dell’armonia tra fede e ragione, chiamò gli intellettuali cattolici a confrontarsi con le conquiste della scienza contemporanea. In questa impostazione Agostino Gemelli avrebbe riconosciuto il futuro seme dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, da lui fondata nel 1921 secondo l’esplicita volontà dello stesso Toniolo.

Dopo lo scioglimento dell’Opera dei congressi (1904) collaborò con Medolago Albani alla costituzione dell’Unione economico-sociale, dell’Unione elettorale e dell’Unione popolare, di cui fu presidente effettivo per un quadriennio e, dal 1912, presidente onorario. Fu tra i promotori delle Settimane sociali dei cattolici italiani (1907) e per sei anni i suoi interventi in quella sede toccarono temi «urgenti» e «vivaci»: il lavoro, i contratti di lavoro, il salario, la legislazione sociale, la famiglia, la libertà d’insegnamento. Si schierò a difesa dell’autonomo profilo associativo della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) nella difficile fase della rifondazione all’indomani dell’enciclica Il fermo proposito di Pio X (1905), e si interessò alla fase costitutiva dell’Unione delle donne cattoliche d’Italia, che avrebbe voluto più popolare e meno elitaria.

Da economista elaborò un concetto di «economia moderna capitalistica» inclusivo dell’irreversibilità del progresso scientifico, dei grandi vantaggi materiali dovuti alla crescente integrazione internazionale e dei riscontri positivi del sistema industriale sui salari e sulle disponibilità materiali per i lavoratori. Dall’analisi delle complesse articolazioni del capitalismo industriale, Toniolo trasse la convinzione che per contenere l’impatto sociale delle grandi fabbriche e del grande capitale occorresse puntare sulla diffusione delle piccole e delle piccolissime imprese.

Dall’inizio del Novecento Toniolo intensificò il proprio impegno nella promozione di sodalizi internazionali. Nel 1901 fondò la sezione italiana dell’Association internationale pour la protection légale des travailleurs, precorritrice dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Nel giugno del 1917 propose a Benedetto XV la costituzione di un «Istituto cattolico di diritto internazionale» per orientare alla pace e alla fraternità le coscienze individuali e l’opinione pubblica internazionale.

Morì a Pisa il 7 ottobre 1918. Dal 30 settembre 1940 le sue spoglie sono custodite nella chiesa parrocchiale di Pieve di Soligo.

Autore di numerosissime opere, raccolte in venti volumi, organizzati in sei serie, sotto il titolo Opera omnia di Giuseppe Toniolo, un totale di 8886 pagine, pubblicati tra il 1947 e il 1953.

Culto: Il 7 gennaio 1951 fu introdotta la causa di beatificazione e il 14 giugno 1971 fu emesso il decreto sulle sue virtù con il titolo di venerabile; fu proclamato beato nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma il 29 aprile 2012; la memoria liturgica è stata fissata al 4 settembre, giorno del matrimonio.

Bibliografia:

  1. Carera, Toniolo, Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXXVI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2019, e la bibliografia ivi citata.



BEATA MARIA

Venerata tradizionalmente come beata, morta il 4 dicembre di un anno imprecisato, probabilmente verso la metà del XIII secolo. La sua vita, in latino, fu pubblicata a Venezia nel 1736 dal camaldolese Guido Grandi, abate di San Michele in Borgo di Pisa, da un codice allora conservato nel monastero pisano di Sant’Anna.

Maria, originaria dell’area orientale di Chinzica, e precisamente della cappella di San Martino, apparteneva ad una famiglia mercantile. Ancora fanciulla, il padre perì in un naufragio e poco dopo morì anche la madre, sì che ella rimase sola con il fratello minore, di cui curò l’educazione. In questo periodo conobbe e frequentò santa Bona, con la quale spesso si recava nella chiesa di San Martino: la santa previde il futuro destino di santità di Maria.

In seguito alle insistenze dei parenti sposò un uomo a lei pari per ricchezza e ceto sociale nonché per ideali religiosi. Dopo una malattia del marito, Maria convinse lo sposo a vivere in castità, intraprendendo da parte sua una vita di rigida penitenza, fatta di cilicio, astinenza dalle carni e un duro letto di legno. Si dedicò anche alle opere di misericordia, assistendo i poveri, gli infermi e i pellegrini e confezionando tovaglie di lino per gli altari. Un passo successivo condusse i coniugi ad una scelta più radicale, abbracciare la vita religiosa. Dopo aver diviso il patrimonio in tre parti uguali, destinate rispettivamente ai poveri e ai monasteri di San Savino e di San Paolo di Pugnano, il marito entrò come converso nell’abbazia camaldolese di San Savino, Maria nel cenobio benedettino di Pugnano. Qui Marino, monaco di San Savino e confessore del monastero (personaggio attestato da un atto del 1223), durante la Messa le tagliò i capelli, le fece indossare l’abito monastico e poi la condusse nella cella, ove visse come reclusa, in penitenza e preghiera, arricchita da Dio da straordinari carismi. Si nutriva di soli legumi ed acqua, astenendosi dal pane e dal vino, e manifestava lo spirito profetico predicendo il futuro e giungendo a conoscere i più riposti pensieri dei propri simili. Alla sua morte, furono i monaci di San Savino a celebrarne il funerale: il corpo fu sepolto nella chiesa monastica di Pugnano, ove però è stato invano cercato.

Bibliografia:

Annales Camaldulenses ordinis sancti Benedicti, a cura di G.B. Mittarelli – A. Costadoni, IV, Venetiis, apud Jo. Baptistam Pasquali, 1759, pp. 181-183; M.L. Ceccarelli Lemut, Santità femminile a Pisa tra XII e XIII secolo, in Medioevo e dintorni. Studi in onore di Pietro De Leo, a cura di M. Salerno – A. Vaccaro, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2011, I, pp. 103-115.




SAN SISTO II PAPA E MARTIRE

                 

Sisto II (… – Roma, 6 Agosto 258) fu il ventiquattresimo papa della Chiesa cattolica che, con quella ortodossa, lo venera come santo. Il suo pontificato durò undici mesi, dal 31 agosto 257 alla morte. L’emblema è la palma.

Le origini di questo papa sono ignote, della sua vita prima dell’elezione è conosciuto solo ciò che riporta il Liber Pontificalis e cioè che era greco. Tale affermazione, però, è probabilmente erronea. Essa derivò dalla falsa convinzione che egli fosse identificabile con il filosofo greco neopitagorico Sesto, autore delle Sententiae, una raccolta di 451 proverbi, tradotta in latino da Rufino Turranio (345-411) e diffusa erroneamente sotto il nome di Sisto.

Sisto succedette al suo predecessore, Stefano I, il 31 agosto 257. Durante il pontificato di quest’ultimo, era sorta una violenta disputa tra la Chiesa di Roma, le Chiese africane ed asiatiche, riguardo al battesimo di quanti erano stati battezzati da eretici o scismatici e che aveva rischiato di finire in una completa rottura tra Roma e le altre Chiese. Sisto II, che Ponzio (Vita Cypriani, capitolo XIV) definiva “sacerdote buono e pacifico” (bonus et pacificus sacerdos), più conciliante di Stefano I, roiuscì a riportare la pace all’interno del mondo cristiano e, tuttavia, come il suo predecessore, incentivò l’uso romano di non ribattezzare i lapsi, ma di ungerli semplicemente col crisma.

Il pontificato di Sisto fu contrassegnato dai due editti di Valeriano, il primo dell’agosto del 257, che vietava le riunioni dei cristiani, imponendo ai vescovi e ai presbiteri di apostatare, comminando l’esilio ai refrattari, mentre il secondo, del 258, ordinava l’immediata esecuzione dei membri del clero che non si fossero sottomessi. A questo si dovette la morte di Sisto, il 6 agosto, insieme con quattro diaconi. Fu sepolto nel cimitero di Callisto sulla via Appia nella cosiddetta cripta dei papi. Il suo luogo di sepoltura, per le evidenti tracce di decorazione e monumentalizzazione succedutesi in varie fasi, è tradizionalmente indicato nella isolata tomba “a mensa” posta sulla parete di fondo dell’ambiente. Altri dati sulla morte di Sisto vengono da alcuni epigrammi del papa Damaso, a cui è attribuibile con certezza l’ultima fase di monumentalizzazione della parete di fondo della cripta. Sisto II venne arrestato, mentre predicava presso il cimitero di Callisto. I soldati avevano ordini precisi. Non si occuparono dei fedeli: andarono dritti verso Sisto, che li attendeva fiancheggiato da due diaconi per parte. Così, sempre con loro, camminò fra i soldati fino al luogo fissato per il supplizio.

Il papa Pasquale I fece traslare i resti di Sisto II nella cappella iuxta ferrata, dedicata a lui e a papa Fabiano, nell’antica basilica di San Pietro in Vaticano.

Culto:

Venerato come santo sia dalla Chiesa cattolica sia da quella ortodossa (che lo commemora il 10 agosto). Il suo nome compare nel Communicantes del canone romano della Messa. La chiesa a lui dedicata a Roma in quello che si riteneva il luogo del suo martirio, attualmente San Sisto Vecchio, all’angolo tra le attuali via delle Terme di Caracalla e via Druso, è menzionata a partire dalla fine del secolo VI, ma le indagini archeologiche condotte negli anni Trenta del Novecento hanno messo in luce elementi di un edificio di culto attribuibile al V secolo.

A Pisa al santo fu dedicata una chiesa eretta in seguito alla vittoria riportata il 6 agosto 1087 insieme con Genovesi, Amalfitani e Romani contro gli empori ora tunisini di al-Mahdiya e Zawila. San Sisto fu considerato come speciale protettore celeste delle fortune pisane sul mare e la sua festa era rivestita di particolare solennità e arricchita da un’indulgenza. L’edificio sacro divenne anche sede, verosimilmente tra l’XI e il XII secolo, di una canonica regolare, cui era annessa pure una scuola. Nel corso del Medioevo la chiesa ospitò le riunioni più importanti dei consigli cittadini e fu sottoposta al patronato dei reggitori del Comune, che la gratificarono di privilegi, esenzioni fiscali e donativi.

Bibliografia:

  1. Amore, Sisto II, in Enciclopedia Cattolica, XI, Firenze, Sansoni, 1953, col. 778; S. Carletti, Sisto II, in Bibliotheca Sanctorum, XI, Roma, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, 1968, coll. 1256-1261; S. Carpentieri, Sisto II. L’audacia di un papa che sfidò l’impero, Siena, Cantagalli, 2008; M.L. Ceccarelli Lemut – S. Sodi, La Chiesa di Pisa dalle origini alla fine del Duecento. Pisanorum ecclesia specialis sancte Romane Ecclesie filia, Pisa, ETS, 2017 (Vos estis templum Dei vivi. Studi di storia della Chiesa, 7), pp. 307-309.



Venerdì 22.11 ore 17.30. Gabriella Garzella e il ruolo di Pisa sulla Francigena.

PRESENTA:

Venerdì 22 Novembre 2019 conferenza della professoressa GABRIELLA  GARZELLA.

la professoressa GABRIELLA GARZELLA, socio onorario del sodalizio, ci intratterrà su:

“  OLTRE  LA  FRANCIGENA. IL  RUOLO DI  PISA  COME  NODO  DI  COMUNICAZIONI  IN  ETA’  MEDIEVALE “

La cittadinanza è gentilmente invitata.




ADP e CPATA: treni ad alta velocità per lo sviluppo del “Galilei”

ASSOCIAZIONE DEGLI AMICI DI PISA

COMITATO PICCOLI AZIONISTI DI TOSCANA AEROPORTI

Pisa, 9 Novembre 2019

Nel 2018 Pisa si è piazzata 11^ nella classifica nazionale aeroportuale, Firenze 19^.   Nel 1° semestre 2019, Pisa è scesa al 12° posto e purtroppo, nei mesi successivi, ha peggiorato le sue performance, mentre Firenze ha continuato a migliorarle. Il Galilei, da giugno a settembre, ha registrato un -3,5% sul 2018, contro un + 3,72% di Firenze ed un + 3,82% della media nazionale. Contemporaneamente Bergamo, dove opera Ryanair, ha registrato un + 6,8% e Bologna + 12,85. Anche i dati consuntivi dei primi 10 mesi del 2019, confermano che Pisa ha avuto una flessione del 2%, a fronte di una crescita del 4,3% di Firenze. Occorre pertanto fare alcune riflessioni.

Nel bacino di traffico Centro/Nord, sia Bologna che Firenze, collegate dall’Alta Velocità (A.V.), hanno guadagnato passeggeri, Pisa no, anzi ne ha persi. Anche le frecce dell’A.V. hanno beneficiato della chiusura di Linate, aumentando gli incassi di F.S. che, con Atlantia e Delta o forse Lufthansa, dovrebbero salvare Alitalia, a cui il Governo ha concesso altri 350 milioni di prestito per sopravvivere.

Ghilardi Stefano-Pres. Ass. Amici di Pisa

Cittadella. Riscoprire la Storia Marinara, no parcheggi

Pisa, mercoledì 6 Novembre 2019, 2020 in stile pisano

COMUNICATO STAMPA

CITTADELLA: BASTA IDEE E PROGETTI AL RIBASSO.

Gli “Amici di Pisa” prendono posizione sul destino

del quadrilatero militare della Repubblica Marinara.

Né parcheggi, né aree sgambature per cani: comandi la Storia !

IL PRESIDENTE
(Dr Stefano Ghilardi)




Venerdì 8.11 ore 17.30. Verso la Seconda Repubblica Pisana con Stefano Sodi

Associazione degli Amici di Pisa

Venerdì 8 Novembre 2019  ( 2020 S.P. ) ore 17,30

presso la sede sociale sita in Pisa, via Pietro Gori n. 17

già via San Giovannino, traversa di Via S. Martino- Quartiere Kinzica

il dottor STEFANO SODI

per ricordare i 525 anni dalla nascita della Seconda Repubblica Pisana relazionerà su :

“ LA CITTA’ DI PISA NELLA SECONDA META’ DEL QUATTROCENTO NELLA VISITA PASTORALE DEL 1462-1463”

La S.V. è gentilmente invitata