CUCINA PISANA

-INTRODUZIONE-

Il territorio circostante la città di Pisa è caratterizzato dalla presenza di ambienti molto diversi tra loro. In un raggio di venti chilometri si passa dal mare ai monti, dalla pianura alla collina, con fiumi, canali, fossi, laghi e laghetti: da Boccadarno all’antichissimo massiccio del Monte Pisano, al Parco Regionale litoraneo con le tenute di Migliarino, San Rossore, Tombolo e Coltano, alla campagna con i fiumi Arno e Serchio, al lago di Massaciuccoli, alle Colline Pisane, il popolo alfeo ha sempre potuto contare su svariate forme d’approvvigionamento alimentare, frutto dell’attività di pescatori di mare e d’acque dolci, di cacciatori, allevatori e contadini. La cucina pisana ha quindi caratteristiche di terra, di mare e d’acqua dolce (quest’ultima purtroppo meno incidente che in passato, a causa dell’inquinamento di fiumi e canali), passando con disinvoltura dalle verdure delle campagne ai pesci di mare e di fiume, dagli animali d’allevamento alla selvaggina di boschi e colline, offrendo prodotti come l’olio del Monte Pisano e i vini delle Colline Pisane, che oggi sono in fase di piena valorizzazione, e puntando soprattutto sulla qualità dei prodotti e sulla semplicità dei piatti, sempre fortemente legati al territorio.

Come in molti altri casi, in Italia e non solo, specialmente in passato si tendeva a ottimizzare le risorse anche in cucina, cercando di non sprecare nulla; e così per secoli la gente si è sfamata con zuppe e minestre – sinonimi in italiano ma non in pisano – con il pane grande protagonista in misura maggiore rispetto alla pasta, che pure a Pisa è documentata fin dal Duecento, con le gesta del pastaio Famulus Salvius e del fornaio Pèciolo. Le minestre erano così diffuse nel quotidiano che ancor oggi i più anziani chiamano minestra il primo piatto di ogni pasto…

Possiamo dunque affermare che la gastronomia alfea trovi la sua unicità nel coniugare un territorio molto variegato alla millenaria storia e civiltà di una città un tempo assai ricca e potente ed ancor oggi famosa nel mondo.

C’è da dire che in alcuni casi si è verificata una sorta d’osmosi fra il territorio pisano e quelli limitrofi, come il lucchese e, in seguito allo sviluppo di Livorno da Porto Pisano a città, il livornese; questo però non si è verificato con il più lontano territorio fiorentino, nonostante i secoli di occupazione medicea. Purtroppo per Pisa, però, non ci sono trattati che ne abbiano codificato ed ufficializzato la cucina, a differenza delle città vicine, forse proprio per i motivi storici su ricordati; ma dato che Pisa è stata la porta della Toscana per quasi tutto il Medioevo e sede della Marina Stefaniana nell’Era Moderna, tutto fa supporre che diversi ingredienti e ricette siano stati importati fin dall’antichità dal mondo etrusco, romano, greco e turco-arabo, come la cecìna, le ballotte – dall’arabo ballut – ed altro.

Il piatto che forse riassume e rappresenta tipicamente l’incontro tutto pisano di terra e mare è la Renaiola, pasta – di solito trenette o brachette – condita con una salsa a base di rape ed aringhe. Oggi è quasi dimenticata ma per secoli ha sfamato i Renaioli – da cui il nome – ossia coloro che con grande fatica cavavano la sabbia dal fondo dell’Arno e la trasportavano lungo il fiume per venderla.

Ma il piatto tipico pisano per eccellenza e tradizione sono le cèe (“cieche” in vernacolo), ossia avannotti d’anguilla lunghi pochi centimetri, pescati d’inverno alle bocche di fiumi e canali e cucinati semplicemente con aglio, olio e salvia. Oggi vietate su tutto il territorio nazionale per motivi di riproduzione, per secoli hanno sfamato i pisani nei rigidi mesi invernali costituendo un piatto tipico, prelibato ed economico ad un tempo.

Negli ultimi tempi si nota purtroppo che inspiegabilmente molti ristoratori pisani non solo non valorizzano prodotti e ricette tipiche locali, ma al contrario riportano nei menu piatti analoghi ma tipici di altre città! È il caso della ribollita fiorentina, al posto della tradizionale zuppa pisana, o del baccalà alla livornese invece che alla pisana; tanto per fare due esempi. Crediamo che questo comportamento sia deplorevole e unico al mondo in senso negativo, quando altrove ci si sforza di riproporre – e con successo – antiche ricette dimenticate, come nel caso del “Bacalà alla Vicentina” (mica l’hanno chiamato “alla veneziana” sfruttando la maggior fama della città lagunare!), per il quale nel 1987 si è costituita appositamente addirittura un’accademia chiamata Confraternita. Speriamo quindi che in un vicino futuro s’inverta la tendenza e anche a Pisa si torni a recuperare e valorizzare i prodotti del territorio, come avviene in tutto il resto del Pianeta, dato che le peculiarità enogastronomiche, oltre all’aspetto culturale, rappresentano sempre più una voce di grande rilevanza nella generale offerta turistica italiana!