Beata Chiara Gambacorti

Beata Chiara Gambacorta

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Beata Chiara Gambacorti

Beata Chiara Gambacorta

Chiara nacque probabilmente a Firenze nel 1362 da Pietro e dalla sua prima moglie e battezzata con il nome di Tora. Giunta a Pisa nel 1369, allorché il padre, rientrato in patria, dette vita ad un potere signorile, venne promessa in sposa a Simone Massa, cui appena dodicenne fu consegnata, nel 1374. Tre anni dopo il marito morì e la giovane vedova cominciò a manifestare il desiderio di entrare in convento, determinazione accresciuta dalle esortazioni indirizzatele da Caterina Benincasa da Siena, conosciuta durante il soggiorno di quest’ultima a Pisa nel 1375 e con la quale intrattenne una fitta corrispondenza. Chiara decise allora di ritirarsi presso le Clarisse di San Martino, dove appunto prese il nome di Chiara, ma i fratelli a mano armata la riportarono a casa.

Negli anni successivi, nella casa paterna, Chiara ebbe modo di chiarire e fortificare la chiamata alla vita monastica, maturando con maggiore convinzione la propria scelta, grazie anche a Caterina Benincasa e poi ad Alfonso di Vadaterra, vescovo di Jaén, già confessore di Brigida di Svezia. Così, nel novembre 1379 entrò nel convento domenicano di Santa Croce in Fossabandi, ma insoddisfatta dello scarso rigore della vita claustrale, ottenne dal padre la fondazione di un nuovo convento intitolato a San Domenico, il primo convento femminile dell’Osservanza domenicana, ubicato all’inizio di via San Gilio (attuale corso Italia), ove ancora ne sussiste la chiesa. Chiara vi entrò con alcune compagne il 29 agosto 1382.

Il papa Urbano VI il 17 settembre 1385 dette la sanzione ufficiale alla nuova fondazione, ratificata da una lettera vescovile del 4 maggio 1386 e da un successivo privilegio pontificio del 25 luglio 1387, che approvava canonicamente la comunità, dipendente dalla provincia romana dell’Ordine dei Predicatori. Inizialmente Chiara svolse le funzioni di sottopriora per poi diventare priora (dopo il 1400), ufficio che mantenne sino alla morte.

Nel convento era applicata una strettissima e regolamentatissima clausura e la vita di Chiara verteva su due direttrici parallele, da un lato l’ascesi personale in astinenza e povertà, dall’altro il compito di guida e consigliera spirituale.

Rigorosi erano i limiti dei contatti con l’esterno in base alle norme pontificie: allorché il 21 ottobre 1392 Jacopo d’Appiano rovesciò il governo di Pietro Gambacorta e lo fece uccidere, due figli di questi, feriti, si presentarono al convento a chiedere asilo, ma Chiara negò loro l’accoglienza per non incorrere nella scomunica. Più tardi, quando fu la volta delle figlie di Jacopo d’Appiano a domandare rifugio, Chiara le accolse e perdonò Jacopo.

Chiara morì il 17 aprile (lunedì di Pasqua) del 1419 e fu sepolta i piedi dell’altare della chiesa di San Domenico. Dopo le devastazioni della II Guerra Mondiale, che hanno distrutto il convento, il corpo è stato trasferito presso le Suore Domenicane in via della Faggiola ma, avendo ormai da alcuni anni le suore lasciato il convento, è stato traslato nel 2019 nella chiesa intitolata a Santa Caterina d’Alessandria.

Culto:

Il culto si affermò immediatamente e continuò in città, ma solo il 4 marzo 1830 il rescritto del papa Pio VIII ha riconosciuto la legittimità del culto come beata, esteso alla diocesi pisana e all’Ordine domenicano. La festa liturgica è il 17 aprile.

Bibliografia:

  1. Zucchelli, La B. Chiara Gambacorta, la Chiesa ed il Convento di S. Domenico in Pisa. Con appendice di documenti, Pisa, Mariotti, 1914; C. Bruschi, Gambacorta, Chiara, in Dizionario Biografico degli Italiani, LII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1999, pp. 6-7; S. Duval, Chiara Gambacorta e le prime monache del monastero di San Domenico di Pisa: l’osservanza domenicana al femminile, in Il velo, la penna e la parola. Le domenicane: storia, istituzioni e scritture, a cura di G. Festa – G. Zarri, Firenze, Nerbini, 2009, pp. 93-112; Eadem, «La beata Chiara conduttrice». Le vite di Chiara Gambacorta e Maria Mancini e i testi dell’osservanza domenicana pisana, Roma, Edizioni di storia e letterature, 2016 (Temi e testi, 150), capitoli I-II e pp. 131-174.