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Il Gioco del Ponte

GIOCO DEL PONTE

Il Gioco del Ponte è una manifestazione rievocativa della città di Pisa.
Consiste nella finta battaglia tra le due Parti o Fazioni (Mezzogiorno, o Àustro, e Tramontana, o Bòrea) in cui l’Arno divide la città, e si svolge sul Ponte di Mezzo, da cui il nome.
Tale evento, nel corso dei secoli, si è svolto in modo molto irregolare e diversificato, con interruzioni numerose e prolungate e con modalità di effettuazione molto diverse tra loro.
Molti storici ritengono che esso sia la continuazione del Gioco del Mazzascudo, torneo medievale che si disputava nell’antica Piazza degli Anziani, o delle Sette Vie (oggi dei Cavalieri). Ogni contendente aveva per arma una mazza e per difesa uno scudo – da cui il nome della tenzone – e doveva con questi respingere l’avversario al di fuori di un’area recintata da catene. Gli scontri erano inizialmente individuali, poi collettivi con la Battaglia Generale che vedeva contrapposte due grandi fazioni – il Gallo e la Gazza – che riunivano le diverse compagnie militari cittadine, con la stessa finalità di conquista del territorio.
Si giocò fino al 1406, anno in cui i fiorentini occuparono Pisa acquistandola dal traditore Giovanni Gambacorta, dato che non erano riusciti a conquistarla con la forza, tentando poi con ogni mezzo di distruggerla e stravolgerla nel suo assetto architettonico, sociale e politico. 
La data d’inizio del Gioco del Ponte moderno è il 1568, quando il teatro dello scontro fu trasferito sul Ponte Vecchio (oggi chiamato Ponte di Mezzo, dato che è il centrale dei tre ponti storici).
Dopo alterne vicende si arrivò al 1785, concludendo così il Periodo Classico del Gioco. Si disputò una battaglia nel 1807 ma rimase isolata (l’unica del XIX secolo) perché ormai la cultura giocopontesca era morta e sepolta.
La Battaglia, in questo periodo, consisteva nello scontro fra i due eserciti della città, che si disponevano sul Ponte in due gruppi ciascuno (i Forti, o Affronti) schierati in formazione simile alla testuggine romana. I soldati erano armati di targone, una tavola di legno stretta in un’estremità e larga e arrotondata nell’altra, che per questa forma poteva servire da strumento di offesa o difesa.
La mezzeria del Ponte era chiusa dall’Antenna, un palo di legno posto trasversalmente a separare i due eserciti e che al segnale convenuto veniva alzato dando inizio allo scontro.
Lo scopo della Battaglia era la conquista del maggior terreno possibile sul Ponte, rispetto all’esercito avversario: e quindi, simbolicamente, la conquista della città. Se i giudici, alla fine del tempo stabilito, ritenevano che nessuna delle due Parti avesse conquistato una parte significativa di territorio avversario, veniva decretata la Pace.
Come ogni esercito, le due Fazioni erano composte da più Compagnie, o Squadre, che potevano o no rappresentare i quartieri cittadini e che ben presto si codificarono in 6 per Fazione: Delfini, Dragoni, Sant’Antonio, San Martino, San Marco e Leoni per Mezzogiorno, e Satiri, Mattaccini, Santa Maria, San Francesco, San Michele e Calci per Tramontana.
Nel 1935 si provò a riesumare l’antica Battaglia, nell’ambito di un ambizioso programma nazionale promosso dal regime fascista, teso al recupero di antiche manifestazioni per potenziare l’immagine della nazione.
Il Gioco finì in rissa.
Si riprovò nel 1937 e nel 1938 ma con scarso successo. Poi scoppiò la guerra.
Ed eccoci al 1947. Nell’entusiasmo del Dopoguerra, il Gioco si ripresentò ai pisani… allo stadio, visto che il vecchio Ponte era stato distrutto. Tre anni dopo il Gioco tornò sui lungarni, col nuovo ponte appena inaugurato.
Ma la grande novità furono le modalità della Battaglia: non più scontro fra due eserciti, bensì spinta di un marchingegno meccanico (il Carrello) su rotaie, da effettuarsi in sei gare distinte e consecutive, tra le 12 squadre di cui i due eserciti erano composti.
Veniva così evitato il rischioso contatto diretto fra i “Combattenti” (che da allora in poi sarebbe più corretto definire “Spingitori”) ma purtroppo veniva completamente snaturato il Gioco del Ponte, che è per definizione la battaglia fra le due Parti di Pisa, e non un torneo fra 12 quartieri, sobborghi e paesi.
Inoltre il sistema della spinta col carrello incontrò da subito molte critiche da parte dei cittadini, la maggior parte dei quali non ha mai gradito questa sorta di tiro alla fune al contrario.
A parte lo stravolgimento del suo significato (da scontro fra due eserciti a gara fra 12 squadre) e la falsificazione nella modalità (da battaglia a spinta del carrello), il Gioco del Ponte non rappresenta niente nella vita comune dei cittadini pisani (idem per la Regata di San Ranieri): le Magistrature e le Fazioni non sono mai diventate vere e proprie istituzioni, né è mai esistita alcuna rivalità fra gli abitanti dei rioni e delle Parti. 
Non essendo istituzioni, esse non rappresentano i popoli né i vari territori, ma solo gli attori del Gioco: “combattenti” e figuranti del corteo. I pisani quindi non sono coinvolti nella vita del Gioco del Ponte, e ovviamente restano piuttosto indifferenti alle sue vicende.
Le due Parti non hanno mai avuto una bandiera. Solo di recente si è tentato (maldestramente) di attribuir loro un simbolo.
Le uniche bandiere sono quelle delle squadre-magistrature. Le insegne sono le stesse del periodo classico ma non hanno mai conseguito una valenza araldica. Inoltre non esiste corrispondenza tra i 4 quartieri storici del Gioco del Ponte e gli stessi della Regata di San Ranieri: i nomi corrispondono, i territori dei quartieri sono gli stessi ma nel Gioco essi sono rappresentati da bandiere, nella Regata solo da barche… e di diverso colore. È come se fossero i 4 quartieri di un’altra città. Santa Maria è rappresentata nel Gioco da una bandiera di colori bianco e celeste con la Dea Flora come impresa; nella regata ha la barca celeste. San Francesco nel Gioco ha bandiera bianca e rossa con la stella ad otto punte (che in realtà sarebbe San Michele); nella Regata ha la barca gialla; San Martino nel Gioco spiega bandiera rossa, bianca e nera con raffigurato un cavallo in corsa; nella regata ha la barca rossa; infine Sant’Antonio: bandiera col verro su sfondo rosso carminio nel Gioco e… barca verde nella Regata!
          Non esistono neanche sedi, locali, spazi aggregativi stabili nei quartieri. Esistono solo le palestre per gli allenamenti dei “combattenti”.
Non c’è mai stato un premio per la Parte vincitrice, neanche nel periodo classico.
Negli anni ’80 furono inventati i “paliotti” da dare in premio alle singole squadre vincitrici degli incontri. Ciò è stato molto diseducativo e fuorviante, perché ha accentuato il carattere quartieristico della manifestazione, contribuendo a cancrenizzarne la snaturalizzazione.
Non c’è alcun collegamento con la città. Il Gioco del Ponte, insomma, è solo uno spettacolo rievocativo.
Fra l’altro, osservando il corteo, dobbiamo rilevarne due aspetti negativi:
1. Non si sono mai visti al mondo due eserciti nemici vestiti allo stesso modo.
2. Tale corteo riguarda solo… se stesso. Non ha, cioè, alcuna relazione con la città, le sue istituzioni, il suo popolo. Ci sono i “combattenti”, i Celatini (i quali con l’avvento del carrello hanno perso ogni ruolo attivo nella battaglia, che tale non è più), i loro vari comandanti, i nobili, i cavalieri al seguito… È un corteo fine a se stesso, riguarda solo la “battaglia”. Ben altra cosa è il corteo della Repubblica di Pisa, quello che sfila in occasione delle Regate fra le 4 città ex Repubbliche Marinare: qui abbiamo il Podestà, i Senatori, il Capitano dei Giudici, i Consoli, i Priori, le Arti e Corporazioni, cioè personaggi e istituzioni che caratterizzavano la Città, quindi è da questo corteo, non da quello del Gioco, che si può rileggere la storia pisana.
L’unica valenza del Gioco del Ponte si può ricercare, ammesse e non concesse le sue origini mazzascudiane, nel fatto di derivare dalle attività di allenamento dei soldati della Repubblica alfea per le quali si ritiene che si sia originato il gioco del Mazzascudo.

 

17 Giugno: San Ranieri, patrono di Pisa. Regata in Suo onore tra i 4 quartieri storici

17 Giugno: SAN RANIERI, PATRONO DI PISA. REGATA IN SUO  ONORE FRA I 4 QUARTIERI STORICI

Ranieri, giovane pisano benestante, su invito di un monaco di nome Alberto Leccapecore lasciò ogni avere ai poveri e si dedicò a digiuni e penitenze. Visse molti anni in Terra Santa e al suo ritorno a Pisa fu accolto come un santo. Gli furono attribuiti vari miracoli e alla sua morte, avvenuta il 17 giugno del 1161, la città lo volle omaggiare con un sepolcro in Cattedrale, dove riposa tuttora. Per ogni approfondimento agiografico rinviamo all’apposita sezione “Santi e Beati Pisani” curata dal Prof. Gabriele Zaccagnini.

Proprio in Cattedrale ogni 17 giugno hanno luogo solenni celebrazioni in onore del Santo, la cui urna viene talvolta condotta in processione per le vie della città e anche in barca, sul fiume Arno. Fiume che in questo giorno viene tradizionalmente solcato dalle barche dei 4 quartieri storici pisani (Santa Maria, barca celeste; San Francesco, gialla; San Martino, rossa; Sant’Antonio, verde) per contendersi il Palio di San Ranieri. La regata è preceduta da un corteo storico che si snoda sui 4 lungarni corrispondenti ai suddetti rioni.

Le prime tracce certe del palio marinaro Pisano risalgono al XIII secolo, allorché le cronache ricordano una regata svoltasi nell’anno 1292 per le celebrazioni in onore dell’Assunzione al cielo della Vergine, regina e padrona di Pisa. Solamente dal 1718 il Palio viene disputato il 17 giugno per la ricorrenza del patrono alfeo.
Le imbarcazioni impiegate si ispirano alle tipiche fregate dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. Ogni equipaggio è composto da otto vogatori, un timoniere ed un montatore. Quest’ultimo deve arrampicarsi su un pennone alto dieci metri, posto al traguardo su di una piattaforma galleggiante, e conquistare il paliotto azzurro della vittoria. Alla barca ultima classificata la tradizione regala una coppia di paperi in segno di scherno: tale usanza è stata però recentemente interrotta per un malinteso senso di protezione degli animali.

Questa particolare modalità di assegnazione della vittoria, che rende unica la regata di San Ranieri, si ispira all’impresa di Lepanto del 1571 quando le truppe cristiane, una volta abbordata l’ammiraglia turca, si impadronirono della fiamma da combattimento posta sul pennone dell’imbarcazione musulmana.
C’è da dire però che come per il Gioco del Ponte (v.) i cittadini pisani non sono minimamente coinvolti in maniera diretta dalla Regata: non c’è spirito d’appartenenza né di competizione, si assiste al Palio solo per diletto e curiosità. Inoltre non c’è alcuna corrispondenza fra i quartieri della Regata e gli stessi del Gioco del Ponte: stessi rioni ma diversi colori per due competizioni diverse…

 

16 Giugno: Luminara di San Ranieri

16 Giugno: LUMINARA DI SAN RANIERI

Il 25 marzo 1688, nella cappella del Duomo di Pisa, intitolata all’Incoronata, venne solennemente collocata l’urna che contiene il corpo di San Ranieri, Patrono della città, morto in santità nel 1161. Cosimo III de’ Medici aveva infatti voluto che l’antica urna contenente la reliquia fosse sostituita con una più moderna e fastosa. La traslazione dell’urna fu l’occasione per una memorabile festa cittadina, dalla quale, secondo la tradizione, ebbe inizio la cosiddetta Illuminazione dei Lungarni che poi, nell’Ottocento, passò a chiamarsi Luminara.

L’idea di celebrare una festa illuminando la città con lampade ad olio non fu tuttavia un’invenzione del momento, ma una consuetudine nata da tempo ed affermatasi gradualmente col passare degli anni, probabilmente derivante dalle processioni dei lumi in onore della Vergine Maria alla quale i Pisani erano devotissimi: sono moltissime le chiese costruite in Suo onore in tutto il Mediterraneo, a partire dalla Cattedrale cittadina (appunto Santa Maria Assunta).  Il primo documento storico attestante la tradizione della Luminara risale al 1337.
La Luminara di S.Ranieri è forse per i Pisani la festa più bella e sentita. Ogni 16 giugno, la sera prima della festa del Patrono, tutti i Lungarni vengono illuminati con oltre 100.000 Lampanini (diminutivo di làmpana che in vernacolo pisano significa lampada: sono bicchieri di vetro contenenti olio che serve ad alimentare lo stoppaccino) posti su appositi sostegni di legno, detti Biancherie per il loro colore bianco, che vengono affissi sui palazzi a tratteggiarne i contorni.
Unica eccezionale appendice rispetto a questo scenario è la Torre Pendente, il campanile della Cattedrale, illuminata altrettanto arcaicamente con padelle ad olio, collocate anche sulle merlature delle mura urbane, nel tratto che racchiude la Piazza del Duomo.  Da molti anni la serata viene conclusa con una serie di fuochi d’artificio sparati intorno alla mezzanotte dalla Cittadella e dal ponte omonimo.
Le vie di Pisa si popolano di una folla immensa, e nelle strade del centro storico è un fiorire d’iniziative, feste, cenoni popolari e brindisi fino a tarda notte.
Dopo la prima illuminazione ufficialmente documentata del 1668, la Luminara venne ripetuta ogni tre anni, a meno di circostanze eccezionali che ne giustificassero l’allestimento anche al di fuori del cadenzario stabilito. Ad esempio, ne venne organizzata una in onore di Vittoria della Rovere in concomitanza della festa notturna per il carnevale del 1539, mentre il 14 giugno del 1662 l’illuminazione fu allestita in onore di Margherita Luisa principessa d’Orleans e sposa di Cosimo III. Nel 1724 si svolse una Luminara dove niente fu lasciato al caso, tanto che se ne trova ampie tracce in molti documenti conservati nell’Archivio Capitolare. Nel 1819 fu celebrata in via straordinaria per l’arrivo dell’imperatore Francesco I. Di recente ricordiamo la Luminara straordinaria del settembre 1989 in occasione della visita a Pisa del Papa Giovanni Paolo II.

inizio Giugno: Regata delle Antiche Repubbliche Marinare (ogni 4 anni)

2 Giugno (circa) REGATA DELLE ANTICHE REPUBBLICHE MARINARE

La Regata delle Antiche Repubbliche Marinare è una manifestazione sportiva di rievocazione storica, istituita nel 1955 con lo scopo di rievocare le imprese delle più note Repubbliche marinare italiane: quelle di Amalfi, Genova, Pisa e Venezia. La gara vede sfidarsi tra di loro quattro equipaggi remieri in rappresentanza di ciascuna delle Repubbliche. Tale evento, disputato sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, si svolge ogni anno in un giorno compreso tra la fine di maggio e l’inizio di luglio, ed è ospitato a rotazione tra le suddette città. La regata è preceduta da un corteo storico, durante il quale sfilano per le strade della città organizzatrice un gran numero di figuranti che vestono i panni di antichi personaggi che caratterizzarono la storia e le istituzioni di ciascuna Repubblica. Il corteo, imponente, ha circa 320 figuranti suddiviso in 80 membri per ogni Repubblica. Amalfi porta i costumi del suo periodo più aureo, quello relativo ai traffici marittimi e commerciali. Genova ha scelto lo stile riconducibile ai tempi di Guglielmo Embriaco, condottiero crociato ricordato da Torquato Tasso nel suo poema epico cavalleresco, Gerusalemme Liberata. La Serenissima invece sceglie, per il corteo, la rappresentazione di un episodio della sua storia: il ritorno a Venezia, festeggiato dai lagunari, di Caterina Cornaro vedova del re di Gerusalemme e di Cipro annesse alla Repubblica Veneta. Pisa, nel corteo onora la figura di Kinzica de’ Sismondi l’eroina che intorno all’anno mille salvò la città da una incursione notturna dei Saraceni che risalirono la foce –quel tempo a delta- fino in città. Ella, si narra, in piena notte si accorse dell’arrivo nemico, si diresse verso la Piazza degli Anziani (oggi ribattezzata ai Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano) e qui suonò la campana della Torre degli Anziani affinchè i Pisani presenti, destati dal sonno dall’improvviso suono, prendessero le armi. Ci riuscirono e cacciarono Musetto dalle rive dell’Arno nonostante che i Pisani abili fossero in “trasferta” a Reggio Calabria proprio per strapparla dalle mani saracene. L’idea di un evento che ricordasse le vicende delle quattro potenze marinare del Medioevo fu del cavaliere pisano Mirro Chiaverini, verso la fine degli anni Quaranta del XX secolo. Il 29 giugno 1955 venne effettuata a Genova una prova sperimentale con gozzi a quattro vogatori. Il 10 dicembre dello stesso anno fu invece firmato ad Amalfi, nel Salone Morelli (l’attuale Museo Storico di Palazzo San Benedetto, sede del Municipio), l’atto costitutivo che sancì la creazione dell’Ente organizzativo della Regata. Le imbarcazioni, costruite dalla Cooperativa Gondolieri di Venezia, furono varate il 9 giugno 1956 sulla Riva dei Giardini Reali, con la benedizione del Patriarca di Venezia Angelo Roncalli (in seguito eletto papa con il nome di Giovanni XXIII).

La prima regata si svolse a Pisa il 1º luglio di quell’anno; tra i presenti spiccavano in particolare il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi ed il Ministro della Marina Mercantile Gennaro Cassiani. Alla gara prendono parte 4 equipaggi, ognuno composto da 8 vogatori e un timoniere, più alcune riserve. Dal 2004 si è stabilito che essi devono essere composti per metà da atleti provenienti dalla Regione e per l’altra metà da atleti provenienti dalla Provincia. Le imbarcazioni devono essere costruite tutte con gli stessi parametri strutturali. Proprio per garantire maggiore efficienza e leggerezza in acqua le barche, un tempo costruite in legno, oggi vengono realizzate in vetroresina.

Ogni imbarcazione dev’esser riconoscibile attraverso i colori con cui viene dipinta e dalle polene, ovvero dalle sculture lignee (ora anch’esse in vetroresina) poste sulla prua che raffigurano l’animale simbolo di ciascuna città. Perciò la barca di Amalfi è identificata dal colore azzurro e dal cavallo alato, quella di Genova dal colore bianco e dal drago (che si riconduce a San Giorgio, protettore della città), quella di Pisa dal colore rosso e dall’aquila (che simboleggia l’antico legame tra la Repubblica pisana e il Sacro Romano Impero) e quella di Venezia dal colore verde e dal leone alato (che si riconduce a San Marco Evangelista, patrono della città). La Regata si svolge su un percorso lungo 2 chilometri, che si differenzia a seconda della località: ad Amalfi si rema nel mar Tirreno lungo la costa, a Genova nel mar Ligure all’interno del bacino portuale, a Pisa nel fiume Arno controcorrente e a Venezia in Laguna. Prima dell’inizio della gara remiera si procede al sorteggio delle corsie. Il dispositivo di partenza è costituito da quattro ancoraggi fissi allineati e il via è dato dal giudice arbitro. La giuria provvede, invece, a valutare l’arrivo, giudicando il “taglio” del traguardo da parte della polena di ogni barca (per Amalfi la punta dello zoccolo anteriore del cavallo alato; per Genova la punta del naso del grifone; per Pisa l’estremità degli artigli dell’aquila; per Venezia metà della spada impugnata dal leone alato). È vietato, durante la gara, invadere la corsia di un avversario, pena la retrocessione all’ultimo posto decretata dalla giuria. È permesso, invece, il cambio del numero d’acqua solo nel caso in cui un equipaggio si porti di un’imbarcazione avanti rispetto ad un avversario.

La città vincitrice della Regata riceve in premio un trofeo in oro ed argento, che rappresenta un galeone a remi (come quello usato per la gara) sorretto da quattro ippocampi, al di sotto del quale compaiono gli stemmi delle quattro Repubbliche Marinare. Essa lo detiene per un anno, fino alla nuova messa in palio nell’edizione successiva. Sulla base del trofeo, inoltre, viene apposta di anno in anno una medaglia con il simbolo della città vincitrice della Regata; pertanto vi sono tante medaglie quante edizioni disputate.