BEATA GHERARDESCA

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Al pieno Duecento appartiene la vicenda terrena della beata Gherardesca, narrata da una Vita latina composta da un monaco di S. Savino, probabilmente il suo confessore, pervenutaci priva della fine e con lacune nel passionario trecentesco citato sopra, pubblicata nel 1688 dal Bollandista Daniel Papebrock negli Acta Sanctorum al 29 di maggio. In età moderna, a motivo del nome, si è falsamente ritenuto che appartenesse alla famiglia dei conti Della Gherardesca. In realtà l’autore della Vita niente dice della casata della santa, tuttavia piuttosto elevata, dal momento che ella era consanguinea di un abate di San Savino, forse Urbano, attestato dal 1228 al 1236.

La Vita di Gherardesca si presenta come un testo di difficile lettura, pieno di episodi oscuri, visioni ed eventi soprannaturali, con un linguaggio simbolico molto elaborato, mentre l’agiografo evita in genere di parlare in modo esplicito delle diverse vicende terrene della santa. Ricco di visioni, miracoli, sogni, apparizioni e prodigi della più varia natura, il testo descrive un cammino fortemente interiorizzato. Frequenti furono le lotte contro il demonio. Per queste sue vittorie Gherardesca ottenne da Dio molti ed eccezionali doni mistici: leggeva nel pensiero, vedeva a distanza, compiva pellegrinaggi in spirito, riceveva frequenti apparizioni di Cristo, degli angeli e dei santi, in particolare degli apostoli Giovanni e Giacomo; inoltre fu dotata di virtù taumaturgiche.

Fin da bambina Gherardesca apparve ripiena di virtù e a sette anni fuggì addirittura in un monastero, da dove la ricondusse a casa la madre, che all’età opportuna la convinse a sposarsi. Il matrimonio non fu benedetto da una discendenza, per la quale la madre pregava incessantemente: così un giorno la donna ebbe una visione in cui le si rivelava la straordinaria maternità spirituale della figlia in san Giovanni Evangelista, con un’equiparazione quindi alla Madonna. Gherardesca riuscì poi a convincere il marito ad abbracciare la vita religiosa, per la quale i due coniugi scelsero il monastero di San Savino. Qui il marito si fece monaco, mentre ella ricevette una cella, o meglio una piccola abitazione con orto, fuori del circuito monastico, dove visse una vita di penitente, ma la sua dimora era aperta ai visitatori e la stessa Gherardesca ne usciva per recarsi in varie chiese, tra cui in particolare San Martino, ove riposava Bona. Nata dopo la morte di questa, non poté conoscerla, tuttavia la santa comparve tra i personaggi delle sue visioni e le offrì un tralcio di rose: inoltre Gherardesca intrattenne rapporti con i Pulsanesi, sia a San Jacopo de Podio (dove avrebbe voluto essere sepolta) sia a San Michele degli Scalzi e manifestò la sua devozione per l’Apostolo venerato a Compostella. Anche in lei fu presente la dimensione del pellegrinaggio, in questo caso però si trattava di pellegrinaggi in spirito.

Molto forte era naturalmente il legame con San Savino e l’agiografo ce la presenta continuamente sollecita del benessere spirituale dei monaci: in effetti però tale soverchia familiarità e addirittura invadenza non erano del tutto graditi e la Vita fa trasparire i contrasti al riguardo. Si giunse addirittura ad una scomunica, pronunciata dal priore di Camaldoli, contro cui il procuratore di Gherardesca si appellò il 5 luglio 1269. Si ignora l’anno della morte: fu sepolta nella chiesa di San Savino, ove però già nel XVIII secolo non vi era traccia della tomba.

Culto:

Il papa Pio IX nel 1856 concesse la celebrazione dell’ufficio al 5 giugno.

Bibliografia:

  1. Caby, La saintetè fèminine camaldule au Moyen Age: autour de la b. Gherardesca de Pise, in «Hagiographica,» I (1994), pp.235-269; G. Zaccagnini, Schede agiografiche, in Devozione e culto dei santi a Pisa nell’iconografia a stampa, a cura di S. Burgalassi – G. Zaccagnini, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, 1997 (Opera della Primaziale pisana. Quaderno 7/2), pp. 57-78, alle pp. 65-66; M.L. Ceccarelli Lemut, Santità femminile a Pisa tra XII e XIII secolo, in Medioevo e dintorni. Studi in onore di Pietro De Leo, a cura di M. Salerno – A. Vaccaro, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2011, I, pp. 103-115.