Giovanni Della Pace
Nel Camposanto di Pisa, su una tomba, si legge un epitaffio risalente agli inizio del secolo XVII, che inizia con:“nobile Johannis gaudet de pace sepulcrum/ quod cernis, lector, spiritus alta tenet”, la tradizione erudita locale ha amplificato le poche notizie di questa iscrizione affermando che si trattava di un nobile vissuto come eremita che, al suo rientro in città, edificò una chiesa dedicata alla SS. Trinità e un oratorio a San Giovanni Evangelista. Presso quest’ultimo avrebbe fondato una comunità di disciplinati. Mons. G. Barsotti, in un lavoro pubblicato a Pisa nel 1901, dimostrò che i versi dell’epigrafe sepolcrale potevano essere riferiti a tre diversi personaggi, da lui identificati grazie ad accurate ricerche. Il primo è Giovanni, appartenente alla famiglia dei Della Pace, morto nel 1260. Il secondo un certo Giovanni della Pace, pellicciaio, vissuto santamente in matrimonio e morto in odore di santità nel 1433. Il terzo un “frater Johannis Pinsoculus quondam Vannis de Cappella sanctae trinitatis”, di cui si fa menzione in un atto del 1355. Il luogo presso cui visse in città si chiamava appunto “Porta della Pace”. Il Barsotti indicò come probabile l’identificazione del beato Giovanni della tradizione con quest’ultimo. Una “Compagnia del beato Giovanni” è sopravvissuta fino al 1782. Fino al 1856 era sepolto nel Cimitero Monumentale di Pisa in una tomba decorata da affreschi; da quell’anno le sue reliquie furono traslate nella Chiesa di San Francesco a Pisa.
Da: G. Zaccagnini, Schede agiografiche, in Devozione e Culto dei Santi a Pisa nell’iconografia a stampa, a c. di S. Burgalassi e G. Zaccagnini, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, 1997.
Giovanni CINI, (Giovanni della Pace), beato. – Nacque a Pisa, probabilmente intorno al 1270, da umile famiglia; per vivere, infatti, si arruolò come soldatus o stipendiario al servizio del Comune di Pisa. Ancora giovane – sicuramente prima del 1295 – entrò nell’Ordine dei frati della penitenza, o Terz’Ordine francescano, non rinunciando tuttavia alla professione delle armi e conducendo ancora, sembra, una vita poco edificante.
La vera conversione del C. all’ideale evangelico fu determinata sicuramente da un avvenimento eccezionale. Ne sono testimonianza sia il sorgere di leggende intorno ad essa -rivelatrici di un avvenimento non comune, ma che tuttavia devono ritenersi false, in quanto si riferiscono a episodi posteriori alla morte di Giovanni – sia un lascito testamentario (1391) di Parasone Grasso, operaio dei duomo di Pisa, a favore della Compagnia di S. Giovanni Evangelista affinché si dipingesse nella sede della Compagnia la “historia fratris lohannis soldati”. L’affresco, eseguito in osservanza alle disposizioni testamentarie, è andato perduto (già nel 1689 se ne scorgevano solamente alcune tracce); ciò non consente di stabilire con precisione l’episodio che fu causa della conversione del Cini. Il Barsotti identifica tale episodio con l’attentato che fu perpetrato l’8 ott. 1296 da Ciommeo Cappone della famiglia dei Lanfranchi, aderente alla fazione dell’arcivescovo Ruggiero, ai danni dell’amministratore generale dell’arcivescovo eletto di Pisa Teodorico. Alcuni documenti riferiscono che faceva parte degli attentatori un soldato che aveva vestito l’abito dei frati della penitenza, probabilmente il C.; la conversione sarebbe maturata nel carcere, in cui egli sarebbe stato rinchiuso per il misfatto.
Dopo la conversione definitiva il C. dedicò la sua vita all’assistenza dei bisognosi. Già prima del 1312 egli non era più allo stipendio del Comune di Pisa come soldato ed è certo che già nel 1305 godeva fama di uomo pio, poiché in quell’anno fu designato tra le dodici persone spirituali che, elette a vita, potevano intervenire direttamente negli affari della Pia Casa della misericordia. Era questa una fondazione assistenziale di Pisa, di cui il C. fu uno dei promotori e i cui statuti furono approvati il 16 marzo 1305 dall’arcivescovo fra’ Giovanni di Polo. Il C. ricoprì più volte cariche direttive della Pia Casa fino al 1319, anno in cui non compare più tra. i componenti della magistratura di quell’istituto: evidentemente in quel periodo egli si ritirò dalla vita pubblica per vivere da eremita.
Non si conosce il luogo che il C. scelse come eremo, ma esso doveva trovarsi nelle vicinanze di Pisa. Nella città infatti la fama intorno alla sua persona crebbe rapidamente e un gran numero di fedeli che volevano seguire il suo esempio si riunirono sotto il nome di fraticelli della penitenza; ad essi fu affidata la custodia del romitorio di S. Maria della Sambuca, presso Livorno, in cui nel 1332 lo stesso C. si trasferì, fondandovi, sembra, un ospedale per poveri e pellegrini. In seguito, il C. trascorse gli ultimi anni della sua vita nel romitorio di S. Giovanni Evangelista in Porta Pacis (da cui fu comunemente chiamato Giovanni della Pace) a Pisa fondandovi probabilmente la Compagnia e l’oratorio dei disciplinati di S. Giovanni Evangelista: fondazione che ebbe il compito di assistere spiritualmente e materialmente i bisognosi che si vergognavano di mendicare pubblicamente.
Il C. morì in questo romitorio, in una cella che si racconta egli avesse fatto murare, lasciando aperta solamente una finestrella; ignoto è l’anno della sua morte.
Fu sepolto nel camposanto di Pisa presso la porta Maggiore, in un’arca marmorea pagana riadattata; più tardi (1387 0 1388) la tomba fu decorata da un affresco di Antonio Veneziano, raffigurante il beato attorniato da quattro angeli. Il culto del C., sorto subito dopo la sua morte, fu approvato da Pio IX il 10 sett. 1857; la sua festa viene celebrata il 12 novembre. Alcune reliquie del beato, una volta conservate nell’oratorio della Compagnia dei disciplinati di S. Giovanni Evangelista, soppressa da Pietro Leopoldo I di Toscana nel 1785, si trovano nella chiesa di S. Anna a Pisa. Il suo corpo, dopo la beatificazione, fu portato nella chiesa di S. Francesco a Pisa, dove è tutt’ora conservato nella cappella della sacrestia.
Nella tradizione storiografica il C. è stato spesso confuso con un omonimo, anch’egli terziario francescano, nato a Pisa nel 1353, di professione pellicciaio, sposato e con figli. Ciò ha fatto riferire la conversione del beato ad avvenimenti a cui, per la loro datazione, avrebbe potuto prendere parte il C. pellicciaio.
(M. Franceschini, in Dizionario Biografico degli Italiani, dal sito www. Treccani.it )