image_pdfimage_print

Beato Andronico Della Rocca

La tradizione erudita pisana ne ha fatto un membro della nobile famiglia pisana Della Rocca, il quale, dopo l’incontro con Francesco, sarebbe diventato terziario nel convento cittadino, dove morì nel 1251. In realtà sappiamo solo che fu oggetto di culto, perché si ha notizia di una antica tavola, ora perduta, in cui era rappresentato con l’aureola. Nel Martirologio francescano è ricordato il 20 settembre

Tratto da: G. Zaccagnini, I santi nuovi della devozione pisana nell’età comunale (secoli XII–XV), in Profili istituzionali della santità medievale. Culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana Occidentale e nella circolazione mediterranea ed europea, a c. di C. Alzati e G. Rossetti, Pisa 2008 (= Piccola Biblioteca GISEM, 24), pp. 289–316 (pp.306-307)

Beato Alberto da Pisa

Pisano di origine, Alberto seguì con entusiasmo gli ideali del Poverello, e ne vestì l’abito. Nel 1217 raggiunse a Parigi il concittadino Agnello. Ricoprì la carica di ministro di varie province, della Germania, dell’Ungheria e di Toscana. Alla morte di Agnello, nel 1236, Alberto gli subentrò nella carica di ministro della provincia d’Inghilterra. Infine, nel 1239, fu eletto Generale dell’Ordine, succedendo al discusso frate Elia. Era il primo Generale ad essere sacerdote: da quel momento l’accesso all’Ordine fu consentito solo ai chierici con formazione universitaria, come sancirono le Costituzioni del 1239, in evidente contrasto con il progetto e gli ideali del fondatore. Morì nel dicembre dello stesso anno. Nel 1908 fu aperto il processo per la conferma del culto

Tratto da: G. Zaccagnini, I santi nuovi della devozione pisana nell’età comunale (secoli XII–XV), in Profili istituzionali della santità medievale. Culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana Occidentale e nella circolazione mediterranea ed europea, a c. di C. Alzati e G. Rossetti, Pisa 2008 (= Piccola Biblioteca GISEM, 24), pp. 289–316 (p.306)

Beato Domenico Vernagalli

Beato Domenico Vernagalli

Beato Domenico Vernagalli

Domenico nacque da Ranieri Vernagalli, quattro volte console di Pisa tra il 1154 e il 1178, capostipite di un ramo dei Casalei di Pisa, abitante in Foriporta, nella cappella di San Jacopo di Mercato, chiesa i cui resti si conservano nel muro del palazzo all’angolo tra via Rigattieri e via San Jacopino. Anche uno dei fratelli di Domenico, Filippo, fu console negli anni 1188 e 1192-1193 e console fu pure, nel 1211, il figlio del beato Domenico, Robertino, detto per lo stato sacerdotale assunto dal padre, Presbiteri, che noi potremmo tradurre ‘del prete’. Domenico dunque si era dapprima formato una famiglia ma, rimasto verosimilmente vedovo, si fece in seguito prete ed entrò in qualità di converso nel vicino monastero camaldolese di San Michele in Borgo, ove è attestato come prete e cappellano negli anni 1199 e 1203. Gli elementi fondamentali della sua vita derivano dall’epigrafe apposta sulla sua tomba nella chiesa di San Michele in Borgo, che indica la data della morte, 20 aprile 1218, e lo definisce sacerdote sottoposto al monastero e fondatore di un ospedale dei Trovatelli. La figura di Domenico ci appare quindi caratterizzata dall’assistenza agli orfani, specchio di quella nuova sensibilità verso i deboli, i miseri e i malati, che appunto si estrinsecava nella fondazione di enti assistenziali.

Alla sua morte, il beato Domenico Vernagalli fu deposto in un sarcofago a cassa rettangolare della fine del III secolo (ora conservato nel Campo Santo di Pisa), ove rimase fino al 1920. Il suo scheletro, ricomposto e avviluppato in paramenti sacri riposa, dopo la ricognizione e lo studio dei suoi resti da parte di Francesco Mallegni, in un’urna in legno e cristallo sotto l’altare maggiore della chiesa di San Michele in Borgo.

Culto:

Il culto, attestato fin dal XIII secolo, fu approvato da Pio IX il 17 agosto 1854. Attualmente la festa è celebrata il 20 Marzo.

Parziale del verbale di studio delle ossa del Beato Vernagalli da parte del Prof. Francesco Mallegni:

Dallo studio delle ossa si stima che la morte sia avvenuta attorno ai 35-40 anni. Reperti ossei completi conservati in un’urna di legno e cristallo sotto l’altare maggiore della chiesa di S. Michele in Borgo a Pisa. Cranio rotondeggiante di forme armoniche con capacità cranica di 1530 cc. Tipologia cranio-facciale da etnia alpinoide, Faccia larga, naso alto e largo con ponte nasale protrudente. Scheletro postcraniale assai robusto evidenziato da: omeri con doccia bicipitale molto profonda e tuberosità deltoidea grande e rugosa; l’omero destro è più appiattito, segno di un maggior impiego funzionale. Femore Sinistro con inserzioni muscolari più evidenti. Conduceva una vita ascetica con consumo prevalente di prodotti caseari. Apporto poverissimo di vegetali e proteine. Sicuramente praticava frequentemente sia il digiuno che l’astinenza.

Bibliografia:

  1. Zaccagnini – F.Mallegni, Il Beato Domenico da Pisa, converso del monastero di San Michele in Borgo. Indagine storica e antropologica, Pisa, ETS, 1996 (Piccola Biblioteca Gisem, 12); M.L. Ceccarelli Lemut, Intorno al monastero: il vescovo Pietro, l’abate Eginone, il prete Domenico Vernagalli, in San Michele in Borgo. Mille anni di storia, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut – Gabriella Garzella, Pisa, pacini, 2016, pp. 55-62.

 

Beato Vernagalli

Beata Chiara Gambacorti

Beata Chiara Gambacorta

Beata Chiara Gambacorti

Beata Chiara Gambacorta

Chiara nacque probabilmente a Firenze nel 1362 da Pietro e dalla sua prima moglie e battezzata con il nome di Tora. Giunta a Pisa nel 1369, allorché il padre, rientrato in patria, dette vita ad un potere signorile, venne promessa in sposa a Simone Massa, cui appena dodicenne fu consegnata, nel 1374. Tre anni dopo il marito morì e la giovane vedova cominciò a manifestare il desiderio di entrare in convento, determinazione accresciuta dalle esortazioni indirizzatele da Caterina Benincasa da Siena, conosciuta durante il soggiorno di quest’ultima a Pisa nel 1375 e con la quale intrattenne una fitta corrispondenza. Chiara decise allora di ritirarsi presso le Clarisse di San Martino, dove appunto prese il nome di Chiara, ma i fratelli a mano armata la riportarono a casa.

Negli anni successivi, nella casa paterna, Chiara ebbe modo di chiarire e fortificare la chiamata alla vita monastica, maturando con maggiore convinzione la propria scelta, grazie anche a Caterina Benincasa e poi ad Alfonso di Vadaterra, vescovo di Jaén, già confessore di Brigida di Svezia. Così, nel novembre 1379 entrò nel convento domenicano di Santa Croce in Fossabandi, ma insoddisfatta dello scarso rigore della vita claustrale, ottenne dal padre la fondazione di un nuovo convento intitolato a San Domenico, il primo convento femminile dell’Osservanza domenicana, ubicato all’inizio di via San Gilio (attuale corso Italia), ove ancora ne sussiste la chiesa. Chiara vi entrò con alcune compagne il 29 agosto 1382.

Il papa Urbano VI il 17 settembre 1385 dette la sanzione ufficiale alla nuova fondazione, ratificata da una lettera vescovile del 4 maggio 1386 e da un successivo privilegio pontificio del 25 luglio 1387, che approvava canonicamente la comunità, dipendente dalla provincia romana dell’Ordine dei Predicatori. Inizialmente Chiara svolse le funzioni di sottopriora per poi diventare priora (dopo il 1400), ufficio che mantenne sino alla morte.

Nel convento era applicata una strettissima e regolamentatissima clausura e la vita di Chiara verteva su due direttrici parallele, da un lato l’ascesi personale in astinenza e povertà, dall’altro il compito di guida e consigliera spirituale.

Rigorosi erano i limiti dei contatti con l’esterno in base alle norme pontificie: allorché il 21 ottobre 1392 Jacopo d’Appiano rovesciò il governo di Pietro Gambacorta e lo fece uccidere, due figli di questi, feriti, si presentarono al convento a chiedere asilo, ma Chiara negò loro l’accoglienza per non incorrere nella scomunica. Più tardi, quando fu la volta delle figlie di Jacopo d’Appiano a domandare rifugio, Chiara le accolse e perdonò Jacopo.

Chiara morì il 17 aprile (lunedì di Pasqua) del 1419 e fu sepolta i piedi dell’altare della chiesa di San Domenico. Dopo le devastazioni della II Guerra Mondiale, che hanno distrutto il convento, il corpo è stato trasferito presso le Suore Domenicane in via della Faggiola ma, avendo ormai da alcuni anni le suore lasciato il convento, è stato traslato nel 2019 nella chiesa intitolata a Santa Caterina d’Alessandria.

Culto:

Il culto si affermò immediatamente e continuò in città, ma solo il 4 marzo 1830 il rescritto del papa Pio VIII ha riconosciuto la legittimità del culto come beata, esteso alla diocesi pisana e all’Ordine domenicano. La festa liturgica è il 17 aprile.

Bibliografia:

  1. Zucchelli, La B. Chiara Gambacorta, la Chiesa ed il Convento di S. Domenico in Pisa. Con appendice di documenti, Pisa, Mariotti, 1914; C. Bruschi, Gambacorta, Chiara, in Dizionario Biografico degli Italiani, LII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1999, pp. 6-7; S. Duval, Chiara Gambacorta e le prime monache del monastero di San Domenico di Pisa: l’osservanza domenicana al femminile, in Il velo, la penna e la parola. Le domenicane: storia, istituzioni e scritture, a cura di G. Festa – G. Zarri, Firenze, Nerbini, 2009, pp. 93-112; Eadem, «La beata Chiara conduttrice». Le vite di Chiara Gambacorta e Maria Mancini e i testi dell’osservanza domenicana pisana, Roma, Edizioni di storia e letterature, 2016 (Temi e testi, 150), capitoli I-II e pp. 131-174.

 

Bartolomeo Dè Rinonichi

Si ignorano particolari sulle origini e la famiglia di questo personaggio, che prese nome dalla località di  Rinonico, corrispondente all’attuale Fornacette. Le prime notizie su di lui risalgono al 15 ottobre 1352, quando era già entrato nell’Ordine Francescano. Anteriormente al 1373 aveva raggiunto nella sua città il grado accademico di baccelliere, assolvendo anche in vari Studi generali dell’Ordine (Padova e Firenze) le funzioni di lettore. Destinato poi dal capitolo generale francescano di Tolosa del 1373 allo studio di Cambridge per conseguirvi il magistero in teologia, non poté raggiungere l’Inghilterra per le vicende della guerra dei Cent’anni e, dopo aver studiato qualche tempo a Bologna, ottenne dal papa Gregorio XI il 27 aprile 1375 il magistero in teologia. Non sembra però che abbia insegnato in qualche pubblica università.

Presente a Pisa negli ultimi anni del Trecento, partecipò al capitolo generale tenuto ad Assisi nel 1399. Una tradizione priva di appoggi documentari pone la sua morte al 4 novembre 1400. La confusione esistente con Bartolomeo domini Albisi e con Bartolomeo da San Concordio gli ha fatto erroneamente attribuire miracoli e culto di beato.

Tra tutte le sue opere la più importante, che gli ha assicurato per secoli larga fama e netto rilievo è il De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, composto tra il 1385 e il 1390, e approvato ufficialmente dall’Ordine: una vastissima compilazione, in cui viene sviluppato in tutti i modi possibili e portato alle ultime conseguenze lo spunto, già preciso nei primi Francescani, della conformità tra la vita di Gesù Cristo e quella di san Francesco.

Culto:

Non è esistito un suo culto liturgico.

Bibliografia:

  1. Manselli, Bartolomeo da Pisa, in Dizionario Biografico degli Italiani, VI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1964, pp. 756-758.

Bartolomeo Aiutamicristo

Bartolomeo fu converso camaldolese. Secondo la tradizione era membro della famiglia degli Aiutamicristo, legato al monastero di S. Frediano. Di lui sappiamo solo che morì in odore di santità il 28 gennaio 1224. Il culto è antico, ma la conferma pontificia risale solo a papa Pio IX (1857), ed è esteso, oltre che alla diocesi di Pisa, all’Ordine camaldolese. E’ festeggiato il 12 aprile

Tratto da: G. Zaccagnini, I santi nuovi della devozione pisana nell’età comunale (secoli XII–XV), in Profili istituzionali della santità medievale. Culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana Occidentale e nella circolazione mediterranea ed europea, a c. di C. Alzati e G. Rossetti, Pisa 2008 (= Piccola Biblioteca GISEM, 24), pp. 289–316 (p.302)

Balduino (Baldovino) Acivescovo di Pisa

BALDOVINO Arcivescovo (Baldovino)

Pisano d’origine, non ne conosciamo la famiglia ma è noto il fratello Marchese, avvocato e giudice del Sacro Palazzo Lateranense attestato tra il 1125 e il 1139, in posizione di rilievo nel ceto dirigente cittadino. Baldovino divenne monaco cistercense a Clairvaux, probabilmente prima del 1130; all’inizio del 1133 accompagnò il proprio abate san Bernardo in Italia. Nel 1136 divenne priore del cenobio cistercense di Chiaravalle Milanese e l’anno successivo il papa Innocenzo II lo nominò cardinale prete di Santa Maria «fundentis oleum», ossia Santa Maria in Trastevere, titolo con il quale sottoscrisse nei documenti pontifici dal 17 aprile 1137 al 12 aprile dell’anno successivo. Baldovino fu il primo pisano entrato nell’Ordine Cisterciense e il primo monaco cisterciense divenuto cardinale. Il 22 aprile 1138 Baldovino appare come arcivescovo di Pisa: a lui il papa Innocenzo II confermò la dignità metropolitica sulle diocesi còrse di Aleria, Ajaccio e Sagona, cui aggiunse i due vescovadi sardi di Galtellì e di Civita in Gallura e quello di Massa Marittima in Toscana, la legazia in Sardegna e conferì la primazia sulla provincia ecclesiastica sarda di Torres.

L’interessamento di san Bernardo per l’antico discepolo divenuto arcivescovo trovò il suo coronamento nel privilegio che l’imperatore Corrado III emanò il 19 luglio 1139 a favore di Baldovino, il primo diploma rilasciato da un sovrano alla Chiesa pisana, con cui il sovrano riconobbe il possesso di una serie di beni e di diritti di origine pubblica, pervenuti in vario modo alla Chiesa pisana nei decenni precedenti, e il ripàtico della città di Pisa (dazio sulle merci in transito sull’Arno).

Durante l’episcopato, Baldovino s’impegnò nel recupero e nell’ampliamento delle proprietà e dei diritti della sua Chiesa,e, in continuità con l’azione dei suoi predecessori di piena compartecipazione con gli interessi cittadini, operò in stretta collaborazione con i vertici comunali allo scopo di perseguire il consolidamento e l’espansione territoriale e commerciale della città sia lungo la costa maremmana sia verso l’interno della Toscana.

Fu colto dalla morte il 25 maggio 1145 e definitivamente tumulato il 6 ottobre

Culto:

Pur essendo definito beato dallo stesso san Bernardo e nonostante sia annoverato fra i beati dell’Ordine cistercense, non vi sono attestazioni certe del suo culto.

Bibliografia:

M.L. Ceccarelli Lemut, Magnum Ecclesie lumen. Baldovino, monaco cisterciense e arcivescovo di Pisa (1138-1145), in Monastica et Humanistica. Scritti in onore di Gregorio Penco O.S.B., a cura di F.G.B. Trolese, II, Cesena, Badia di Santa Maria del Monte, 2003 (Italia Benedettina, 23), pp. 613-636

 

GHERARDO (GADDO) DELLA GHERARDESCA

Figlio del conte Janni di Bonifazio di Donoratico della casata Della Gherardesca, entrò, come il fratello Bonifazio, nel monastero domenicano di Santa Caterina a Pisa dove si dedicò allo studio della teologia. Dopo aver studiato a Parigi fu scelto dal Capitolo Provinciale di Lucca come predicatore generale; nel 1288 era  lector nel convento pisano. Morì ancora giovane dopo il 1313.

Culto:

Mancano notizie di culto religioso.

Bibliografia:

Chronica antiqua Conventus Sanctae Catharinae de Pisis, a cura di F. Bonaini, in «Archivio Storico Italiano», VI/2, Firenze 1845, pp. 443-444.

FILIPPO GAMBACORTA GESUATO

Scarsissime le notizie su questo personaggio, membro della famiglia dei Gambacorta. Il canonico Giuseppe Sainati riporta le notizie tratte dall’opera di Paolo Morigi dedicata alla storia dell’Ordine dei Gesuati. Secondo questo testo Filippo entrò giovanissimo nel convento dei Gesuati di Pistoia, fondato nel 1370. Morì in odore di santità (1416?) durante un’epidemia di peste, avendo contratto la malattia nel servizio infaticabile degli appestati.

Culto:

Il culto popolare si diffuse subito dopo la morte, ma non è mai stato riconosciuto ufficialmente. Sue immagini erano presenti a Pisa dal secolo XV. Non esiste una festa liturgica.

Bibliografia:

  1. Morigi, Paradiso de’ Giesuati. Nel quale si racconta l’origine dell’Ordine de’ Giesuati di S. Girolamo, et la vita del B. Giovanni Colombini, Venetia, presso Domenico e Gio. Battista Guerra, fratelli, 1582, pp. 192-193; G. Sainati, Vite dei Santi, Beati e Servi di Dio nati nella Diocesi Pisana, Pisa, Tipografia Mariotti, 18843, pp. 302-304.

Bono

Monaco dell’abbazia emiliana di Nonantola, fu chiamato dal senior Stefano (antenato dei Baldovinaschi) a Pisa, ove nel 1016 istituì un monastero maschile presso la chiesa di San Michele in Borgo, divenendone il primo abate. Fonte principale è il Breve recordationis in cui egli stesso nel 1046 rievoca l’arrivo a Pisa e l’impegno trentennale profuso per la costruzione del complesso edilizio e della formazione del suo patrimonio, dall’iniziale tugurium a «tam perfecta domus ut in tota marcha melior non est». La capacità di cui Bono dette prova nell’edificazione e nello sviluppo di San Michele è ulteriormente testimoniata dal ruolo rivestito nella promozione di altre due importanti fondazioni monastiche pisane, tanto che possiamo annoverarlo tra i personaggi di primaria importanza nella vita religiosa cittadina della prima metà dell’XI secolo. A lui infatti furono transitoriamente affidati l’erigendo cenobio femminile di San Matteo (fondato nel 1027) e la comunità monastica di recente istituita a San Quirico a Moxi (1033). L’opera di Bono è anche individuabile nella rivitalizzazione del monastero cittadino di San Zeno.

Culto:

Sebbene sia festeggiato il 3 aprile dall’Ordine Benedettino, non vi sono attestazioni certe del suo culto prima del sec. XVI.

Bibliografia:

  1. Cammarosano, Bono, in Dizionario Biografico degli Italiani, XII, Roma, Istituto per l’Enciclopedia Italiana, 1970, pp. 268-270; M. Ronzani – V. Ascani – S. Martinelli, Il memoriale di Bono, in San Michele in Borgo. Mille anni di storia, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut – G. Garzella, Pisa, Pacini Editore, 2016, pp. 11-25.