SAN RANIERI PATRONO DI PISA
A sinistra: una celebre raffigurazione di San Ranieri ad opera di Giovan Battista Tempesti (Volterra , 1729-Pisa,1804)
A destra: “Viaggio di ritorno della Terrasanta” opera di Andrea di Bonaiuto (XIV sec.), Pisa, Camposanto Monumentale
“Confido che questa figura tanto amata dai pisani rimanga come segno vivo
nella quotidianità di quanti lo onorano e lo pregano”
Mons. Mario Andreazza, Canonico della Primaziale (1925-2004)
San Ranieri rappresenta una delle prime figure di santo laico in Europa. Della sua vita e dei suoi miracoli ci ha lasciato il racconto, scritto negli anni successivi alla morte del santo avvenuta il 17 giugno 1160, un compagno ed amico, il diacono Benincasa, canonico della cattedrale pisana, che ha mediato l’esperienza di vita di Ranieri attraverso la sua personale spiritualità e concezione della santità. Da un punto di vista storico, dunque, non sappiamo quanto esattamente il ritratto corrisponda alla realtà umana di Ranieri. Ma non è questo l’aspetto importante: ciò che a noi interessa, nella prospettiva agiografica, è il modello proposto, l’insegnamento morale e religioso, l’esempio di vita e di spiritualità che attraverso Ranieri l’autore intendeva presentare e proporre al popolo pisano.
Nato intorno al 1115, era l’unico figlio maschio del mercante Glandolfo e di Mingarda ed aveva una sorella, Bella. La famiglia apparteneva al medio ceto mercantile cittadino e verosimilmente risiedeva nell’area orientale di Chinzica, il quartiere a Sud dell’Arno allora fuori delle mura. Ranieri fu infatti istruito da un prete della canonica regolare di San Martino in Chinzica e la madre fu sepolta nella chiesa di Sant’Andrea in Chinzica, che sorgeva nell’area dell’attuale Giardino Scotto, un priorato dipendente dall’abbazia benedettina di San Vittore di Marsiglia. Nella Vita nient’altro si dice sulla casata dei genitori, ma gli eruditi seicenteschi, volendo inserire il santo in un contesto sociale più preciso, immaginarono che il padre fosse un membro della famiglia Scacceri, mercanti del quartiere di Ponte attestati dal pieno Duecento, e la madre una Sismondi Buzzaccarini, importante casata consolare.
Ranieri condusse una vita giovanilmente spensierata, tipica dei giovani del suo ambiente sociale, finché un giorno, mentre si trovava in casa di una sua parente nella località suburbana di Arsiccio (tra San Vito e Barbaricina) e cantava accompagnandosi sulla lira, vide passare un nobile cavaliere originario della Corsica, Alberto Lingenspecus, che dalle sue ricchezze mondane si era convertito ad una vita religiosa come oblato presso i monaci di San Vito di Pisa. Ranieri, spinto dalla sua parente, lo seguì: dall’incontro scaturì la conversione, perfezionata da una piena e completa confessione dei peccati al priore della canonica regolare di Sant’Jacopo di Orticaria. Ben presto apparvero i primi segni della futura santità, come l’emanare profumo o il godere di visioni. In modo del tutto ipotetico potremmo collocare tali eventi intorno al 1134.
Come la maggior parte dei suoi compatrioti, anche il destino di Ranieri appariva legato alle attività marittime e commerciali. Ed infatti egli si recò con una compagnia di mercanti a commerciare in Terrasanta e per quattro anni si dedicò a quell’attività, pur impegnandosi in preghiere e digiuni finché verso il 1137 alcuni prodigi gli fecero comprendere la necessità di dare alla sua vita una svolta radicale: sciolse la società mercantile e lasciò il suo patrimonio alla sorella, invitandola a maritarsi.
Nel ciclo di affreschi dell’ultimo quarto del Trecento che nel Campo Santo Monumentale narrano la vita di Ranieri, opera di Andrea Bonaiuti da Firenze (1377-1379) e di Antonio Veneziano (1384-1386), nel secondo riquadro, di Andrea Buonaiuti, è raffigurato come, durante la traversata, un gran fetore sia uscito da una cassetta contenente formaggi per il mercato sì che i compagni di viaggio si turavano il naso. A Giaffa Gesù gli rivelò di aver provocato quell’odore per fargli comprendere la caducità delle cose mondane e lo invitò a spogliarsi delle sue vesti sul Calvario nello stesso giorno in cui Egli stesso ne fu spogliato, cioè il venerdì santo.
Insieme con altri suoi concittadini, la notte di Natale del 1137 Ranieri si trovava nella cattedrale di Santa Maria della città portuale di Tiro. Poco dopo il Natale, ancora a Tiro, a Ranieri apparve la Vergine Maria annunziandogli la sepoltura nel suo grembo, ossia nella cattedrale pisana. Il Venerdì santo successivo, quindi nel 1138, ricorrenza che in quell’anno cadeva il I aprile, Ranieri depose i suoi abiti sull’altare del Calvario, nella chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme, e ricevette dal sacerdote la pilurica, la ruvida veste del pellegrino, e il salterio.
Cominciò così la vita del pellegrino penitente, dedito alla preghiera, ai digiuni e alla visita dei luoghi santi. Compì un’esperienza eremitica sulle mura di Gerusalemme e visitò Hebron, Nazareth – ove si scontrò con il demonio –, la Quarantena, il monte Tabor – ove rivisse misticamente la trasfigurazione di Cristo –, e Betlemme. Proprio nel viaggio verso il Monte Tabor, ove fu ospite del locale monastero benedettino, incontrò due pantere, che al suo passaggio diventarono mansuete come gatti. Al Tabor rimase quaranta giorni e quaranta notti. A Gerusalemme si stabilì in casa di una pia vedova vivendo con l’elemosina donatagli senza che egli la chiedesse e scegliendo come luogo prediletto di orazione la chiesa del Santo Sepolcro, sede del patriarca e del suo capitolo canonicale.
Il lungo soggiorno in Terrasanta rappresentò un’esperienza fondamentale nella sua vita, ove godette di visioni straordinarie e di doni mistici. Dopo il ritorno da Hebron a Gerusalemme ebbe la visione di una caldaia ardente, il cui fuoco egli spense gettandovi solo poche gocce d’acqua. Dio gli rivelò che l’acqua avrebbe in lui spento il fuoco della lussuria e del peccato: da allora, per i restanti vent’anni circa, bevve solo acqua. La visione rappresentò anche un segno del futuro operare miracoli con l’acqua, donde gli venne l’appellativo di Ranieri ex aqua, dall’acqua. Un giorno, mentre pregava nel Santo Sepolcro per la Chiesa e i sacerdoti, Dio gli rivelò di aver posto i sacerdoti nelle mani di Satana. Ranieri, profondamente rattristato, espresse le sue preoccupazioni per il popolo istruito dai sacerdoti e per i monaci ed i canonici, ma gli fu risposto che costoro si sarebbero salvati se avessero adempiuto alle loro promesse, ossia ai loro voti. Di fronte alla disperazione del santo, il Signore gli propose di compiere una dura penitenza per il popolo, facendo quindi di Ranieri un mediatore della salvezza. Il santo così per sette anni digiunò, nutrendosi solo di pane ed acqua ma soltanto due giorni la settimana.
Nella primavera del 1154 Ranieri s’imbarcò ad Accon sulla galea che riportava in patria un importante personaggio del ceto consolare pisano, Ranieri Bottaccio dei Gualandi, di ritorno da un’ambasceria in Egitto. Ormai in mare aperto furono avvistate due galee, inizialmente prese per imbarcazioni pirate, ma poi rivelatasi essere di Pisani al servizio dell’imperatore di Costantinopoli. Questi ultimi invitarono Ranieri Bottaccio a visitare il sovrano, che non era lontano, ma l’ambasciatore, non avendone ricevuto il mandato dal Comune di Pisa, non poté accettare l’invito e fu anzi esortato da san Ranieri a continuare il viaggio: mentre la galea su cui era imbarcato il santo si allontanava, le navi imperiali rimasero quasi ferme e presto scomparvero alla vista. Il rientro fino alla foce dell’Arno fu tranquillo, non turbato dalle tempeste così frequenti nel Mediterraneo orientale. Nell’affresco di Antonio Veneziano nel Campo Santo Monumentale è rappresentata la sosta a Messina, evento verisimile poiché di solito si sostava in quel porto nei viaggi da e per l’Oriente: qui Ranieri svelò l’inganno dell’oste, che vendeva vino annacquato. Con la pilurica egli separò i due liquidi, lasciando cadere in terra l’acqua: ispiratore della mala condotta dell’oste appare il demonio, indicato dal santo nel gatto seduto sulla botte.
La fama di santità di Ranieri, già manifesta in Oltremare, lo aveva preceduto: a Pisa fu onorevolmente ricevuto dai canonici e, dopo un breve soggiorno presso la chiesa di Sant’Andrea in Chinzica, si trasferì nel monastero benedettino maschile di San Vito, al limite occidentale della città. Qui egli continuò la sua vita di penitente, rimanendo sempre laico dal momento che non pronunciò alcun voto monastico e neppure si affiliò come oblato o converso ad alcuna comunità religiosa. Uomo di preghiera e di carità, Ranieri manifestò a Pisa virtù taumaturgiche che lo fecero autore di moltissimi miracoli, liberazione d’indemoniati e guarigioni avvenute tramite l’acqua e il pane benedetti, ma anche resurrezione di morti. Sui demoni aveva potere in modo particolare in Quaresima. A lui ricorrevano persone non solo di Pisa e del contado, ma anche da altre regioni d’Italia e d’Europa, appartenenti ai diversi ceti sociali, un variegato microcosmo che andava dai più elevati membri del ceto consolare ai mercanti, dagli artigiani ai marinai e ai contadini.
Ranieri morì a San Vito la sera di venerdì 17 giugno 1160: in quell’istante tutte le campane di Pisa si misero a suonare spontaneamente. Il suo corpo venne immediatamente trasferito nella cattedrale, ove la Messa funebre fu cantata dall’arcivescovo Villano, e sepolto. Cinque anni dopo i consoli apprestarono una tomba nell’angolo dell’edificio, ossia all’incrocio della navata con il transetto sinistro.
A sinistra:vecchio altare di San Ranieri scolpito da Tino di Camaino, 1305, Museo dell’ Opera del Duomo di Pisa.
A destra: l’urna attuale nel transetto sud della Cattedrale
Qui un nuovo altare fu eretto per volontà dell’operaio Burgundio di Tado (lo stesso che commissionò il pergamo a Giovanni Pisano) da Tino da Camaino nel 1305-1306, ora conservato nel Museo dell’Opera del Duomo. Esso fu sostituito da un altro opera di Andrea Guardi poco dopo il 1451 – parti del quale costituiscono attualmente l’altar maggiore della chiesa di San Ranierino – e nel 1591 da quello eretto da Giovanni Battista Lorenzi, ancora esistente, nella cui lunetta è il rilievo della Vergine che appare a San Ranieri a Tiro. Di qui, nel marzo del 1688 le ossa del santo, divenuto nel 1633 patrono principale della città e della diocesi, furono traslate nel nuovo e più ricco monumento dell’altare del transetto destro, dove tuttora si trovano.
Nel 2000 fu eseguita sul corpo del santo una ricognizione delle Venerate Spoglie a cura del paleontologo Francesco Mallegni. Furono redatti due verbali, per l’apertura dell’urna l’8 marzo 2000 e la ricognizione delle Venerate Spoglie eseguita nella sacrestia del Capitolo della Primaziale, l’altro il 7 giugno 2000 per la ricollocazione nell’urna. Furono inventariate minuziosamente le ossa, le vesti: «tutte le parti dello scheletro sono generalmente molto robuste e ben ossificate; ciò sta a significare che esse sono appartenute ad un uomo (alla stessa conclusione portano i tratti del bacino che mostrano morfologie tipiche del maschio); il residuo di faccetta pubica di sinistra e l’usura dentaria depongono per un individuo morto ad un’età compresa tra i 40 e i 45 anni. La coincidenza del valore dell’età alla morte di San Ranieri e del soggetto rappresentato dallo scheletro della presente ricognizione e la constatazione che i presenti resti sono appartenuti ad un uomo, sono una condizione sufficiente e inderogabile perché essi rappresentino le vere reliquie del Santo. In fede, prof. Francesco Mallegni Pisa, 7 giugno 2000».
Culto:
il culto di san Ranieri rimase presente in duomo, ove la documentazione attesta dal 1173 la presenza di un custode del corpo di san Ranieri. Il Capitolo canonicale mantenne una speciale devozione nei confronti del santo, fino a fare del 17 giugno il giorno d’inizio del calendario amministrativo del consesso, come apprendiamo da un atto dell’11 marzo 1253.
Il santo viene invocato “dai pericoli e dai danni della guerra”. Le cronache hanno tramandato il ricordo del grido: San Ranieri è sulle mura! Con cui i difensori del Bastione Stampace, invocando il nostro santo apparso in visione, ricacciarono i fiorentini il 10 agosto 1499. San Ranieri viene invocato dal pericolo delle inondazioni, dalla mancanza di cibo e acqua e dalle malattie, dalle burrasche e dalle tempeste. Per sciogliere il voto fatto al santo per la salvezza della città dall’alluvione del 2 gennaio 1777 fu stabilito di celebrare ogni anno una Messa votiva. La tradizione del Sacro Voto è stata ripresa dal 2012 dalla Compagnia di San Ranieri, associazione cattolica di fedeli laici, riconosciuta dall’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto il 2 febbraio 2011, che raccoglie l’eredità della medievale Confraternita intitolata a san Ranieri.
Bibliografia:
- Zaccagnini, La «Vita» di san Ranieri (secolo XII). Analisi storica, agiografica e filologica del testo di Benincasa. Edizione critica del codice C181 dell’Archivio Capitolare di Pisa, Pisa, ETS, 2011 (Piccola Biblioteca Gisem, 26); Intercessor Rainerius ad patrem: il santo di una città marinara del XII secolo, a cura di P. Castelli – M.L. Ceccarelli Lemut, Pisa, Pacini, 2011 (Biblioteca del «Bollettino Storico Pisano». Collana Storica, 57); L’‘invenzione’ di Ranieri il taumaturgo tra XII e XIV secolo: agiografia ed immagini, a cura di P. Castelli – M.L. Ceccarelli Lemut, Pisa, Pacini, 2013 (Biblioteca del «Bollettino Storico Pisano». Collana Storica, 59).
850MO DI SAN RANIERI